Papà
Goriot – Honoré de Balzac –
Mondadori – Pagg. 306 – ISBN 9788804703693
- Euro 14,00
Dov’è
di casa la moralità?
È
il romanzo del successo, quello avvertito dall’autore nella
fase creativa e che lo portava a dire, mentre entrava in casa della
sorella: ”Salutatemi perché sono semplicemente sul punto
di diventare un genio”, e quello del pubblico che, dopo aver
letto il romanzo a puntate su rivista, lo accolse con grande calore
nella prima pubblicazione in volume.
Al
centro della narrazione il triste destino di Papà Goriot,
“l’ultimo dei miserabili”, padre di una contessa e
di una baronessa, unica ragione di vita di un vedovo che da pastaio
era riuscito a trasformarsi in un industriale senza però
acquisire nella scala sociale uno stato diverso da quello di novello
borghese. Ciò non basta, Parigi nel primo ventennio del
diciannovesimo secolo è spietata e crudele e ancora
incredibilmente nobile: una società, sì ampiamente
stratificata ma oltremodo elitaria, come prima della Rivoluzione. Lui
riesce a maritare le figlie con dote e rendite generose, l’una
sposa un banchiere, l’altra un esponente della piccola nobiltà,
tra di loro però si instaura un conflitto fatto di gelosie, di
arrivismo supportato dalla generosità paterna che
progressivamente si spoglia di ogni avere per non negare alle figlie
ingrate un abito, una festa, un eccesso. Papà Goriot subisce
il suo declino mentre è ospite di una pensione borghese, Casa
Vauquer, tra il Quartiere Latino e il Faubourg Saint-Marceau.
Lì
è ospite, tra una girandola di casi umani, anche il giovane
provinciale venuto dal sud per studiare in città a spese di
grandi sacrifici della sua famiglia, è Rastignac, anima nobile
destinata a supportare le ultime pene di papà Goriot, nel
frattempo cerca con tutti i mezzi di insinuarsi nella tana del lupo.
Usando una lontana parentela, entra in contatto con le due figlie del
pensionato, ne scopre il legame paterno quasi taciuto, nascosto e
proibito dai due generi , frequenta il bel mondo parigino, ne scopre
gli abissi, ingoia amaro e si fa fagocitare. Ne conosceranno, i
lettori, i destini in altri capitoli della Commedia.
Questo
è infatti anche il romanzo che tesse le trame fra i diversi
volumi, restituendo personaggi memorabili, come il bandito Vautrin,
in sviluppi successivi che meritano sicuramente una ulteriore
passeggiata letteraria. A leggere l’opera di Balzac ci si
ritrova infatti come davanti al grande schermo, una spietata
carrellata di immagini, di episodi, di destini , col gusto tutto
moderno di eccitarsi a ritrovare uno dei protagonisti in puntate
successive, meccanismo molto noto a noi utenti della moderna
cinematografia. Ma sarebbe davvero riduttivo parlare di Balzac in
questi termini perché alla base della sua opera c’è
in realtà un vero e proprio linguaggio teatrale, in questo
romanzo in particolare, nell’ultima delle sue quattro ampie
sezioni si sta come a teatro, si assiste a dei veri e propri
movimenti scenici che da soli mi ripagano di una certa insofferenza
patita a metà dell’opera quando il divario cronologico
mi ha particolarmente distanziato dalle falsità del bel mondo
parigino, arrivando a tratti ad annoiarmi.
È
inoltre, questo, il romanzo dei luoghi, quelli borghesi contrapposti
a quelli aristocratici o dei nuovi ricchi, la descrizione della
pensione è imperdibile, è anche il romanzo ancora una
volta delle illusioni, anticipatorio del successivo ”Illusioni
perdute”, è inoltre il romanzo delle vanità che
accendono e nutrono le passioni.
La
moralità non vi abita, se non in rari casi, schiacciando
l’essere umano costretto a soccombere, anch’egli
disilluso. Spietato realismo con qualche pennellata da melodramma a
rendere il tutto appena un po’ più umano, la corruzione
dell’animo non salva nessuno.
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