La
poetica di Gianluca Ferrari
di
Renzo Montagnoli
Chi
è Gianluca Ferrari? Per quel che ne so è uno che scrive
poesie, una produzione varia di cui sono venuto a conoscenza per
merito di un comune amico. Quindi, non sapendo chi sia l’autore,
nemmeno conoscendone l’età, il mio giudizio sulle opere
che mi ha inviato non può essere che del tutto imparziale, non
influenzato da fattori che magari riflettendosi nella sua produzione
possono incidere, magari inconsapevolmente, su una valutazione. E
pensare che l’approccio non era stato dei migliori, poiché
le prime due raccolte chi mi sono state inviate (Il mare in un
sussurro di conchiglie e Origami di nubi) sono
improntate a una linea orientalistica (da estremo oriente e nel caso
specifico giapponese) che, esulando dalle mie conoscenze e dalle mie
abitudini di lettore, non avrebbero potuto costituire materia utile
per un mio sereno giudizio; ma Gianluca Ferrari è eclettico,
scrivendo anche poesie di altro genere, che lui definisce
occidentali, e che sono quelle tipiche a cui in effetti in occidente
siamo abituati, cioè prive di una rigida metrica fissa e con
l’armonia – quando c’è – ricercata in
altro modo. Mi ha inviato così altre due sillogi, ognuna
monotematica, intitolate Bestiario e Fiori,
due aspetti della natura di cui siamo parte che influiscono
sull’animo umano, contribuendo alla visione della vita che si
fa ognuno di noi.
Nella
lettura delle stesse, non sapendo con quali delle due iniziare, ho
proceduto secondo l’ordine alfabetico dei titoli e quindi la
prima è stata Bestiario, 61 poesie ognuna delle
quali dedicata a un animale, e così si va dall’ape alla
zanzara, dal canarino allo stambecco, includendovi anche specie che
non sono mai esistite come i draghi (questi ultimi, peraltro,
trattati prosasticamente). Per certi aspetti mi può ricordare
l’opera di Fedro, giacché Ferrari, come il favolista
latino, parla di animali per parlare di uomini, nel senso che si
procede per metafore (Murena – Nella profonda, pigra
altalena / degli abissi, dove la luce / è ruggine e i canti /
delle megattere fanno tremare / i vecchi relitti, dagli anfratti /
schizza lo scuro fulmine della murena / e sconvolge la muscosa
cancrena / dei sonni; è raptus / è vena di follia / che
in ciascuno si nasconde.) Perchè fra le tante ho scelto
questa? Perchè è quella che secondo me esprime meglio
caratteristiche e finalità dell’autore. Premesso che
appunto si procede per metafore è fuor di dubbio che lo stile,
senza essere baroccheggiante, tende a colorare, a creare atmosfera a
sostegno del concetto espresso, ricorrendo a immagini di effetto, ma
senz’altro pertinenti e facendo così emergere le
inconsce paure degli esseri umani che possono portare a gesti
inconsulti, a uno stato di follia. C’è comunque in tutte
le liriche un sentore di elegia, una ricerca formale mai fine a se
stessa e che conferisce ulteriori meriti alle stesse, come per
esempio in Pesciolino rosso (Labili incendi nel
globo del vetro /…) o in Gazza (Impettita
nel tight bianconero, /….), o meglio ancora
in Fenicottero(Eco di crepuscoli e fanciulli assorti /
in specchi d’acque /…), in cui è evidente il
richiamo a Narciso, quel mitico fanciullo di cui si tramanda l’amore
per se stesso. Insomma, come primo contatto con questo poeta, direi
che il risultato è positivo; non è possibile gridare al
grande, al grandissimo, ma gli elementi basilari per evoluzioni
ulteriormente meritorie ci sono e del resto questa silloge mi pare di
buona fattura e, soprattutto, di non difficile comprensione e di
gradevole lettura.
E
dopo la zoologia passiamo alla botanica, dagli animali ai fiori, già
di per se stessi di potenzialità poetica. In Fiori mi
è sembrato che ogni poesia sia più fine a se stessa,
cioè non ho riscontrato la presenza costante di quel senso di
metafora della vita umana che è propria di Bestiario.
Per certi aspetti mi è parso una sorta di divertissement
dell’autore a cui è invitato a partecipare anche il
lettore. Intendiamoci, la poesia è anche frutto di sensazioni
ed è idonea a trasmettere emozioni, come nel caso specifico un
piacevole appagamento di serenità. Si legge, si vede e poi si
scorge dentro di noi, un’immagine speculare che incide
sull’animo e che allieta, come nel caso di Giglio ( Monastico
appiglio del bianco, / pausa di pura preghiera. / Lungo guanto
dell’aurora / attendi che t’infili / la rugiada e in
soffio / d’alleluja si stempera la strada). E’
evidente che c’è un maggior ricorso a similitudini, a
colpi d’effetto, insomma a stupire e soddisfare chi legge;
niente di male, anzi considerato che ai giorni nostri spesso e
volentieri mi tocca leggere versi che si attorcigliano, che non sono
capaci di suscitare immagini, tesi a esprimere concetti spesso
logorroici, l’aura semplicità di Fiori non può
che da me essere accolta nel migliore dei modi. E se alla fine ci si
sente leggeri e piacevolmente sorpresi il merito è tutto di
queste poesie, di questi fiori che ci vengono mostrati in una luce
diversa.
Ho
notato peraltro che queste raccolte sono edite in proprio e quindi
non possono avere una platea folta di lettori, anche se è ben
noto che la poesia in volumi ha ben pochi affezionati. Considerato,
però, che a volte leggo sillogi pubblicate da editori di
dimensione media o medio-grande, sillogi di cui non riesco, con tutta
la mia buona volontà, a riscontrare un particolare valore e
che anzi mi appaiono sciatte e banali, Bestiario e Fiori per
la loro qualità dovrebbero essere edite ed essere poste sul
mercato, un mercato indubbiamente difficile, ma sono convinto che
alla lunga il buon livello finisca con l’avere soddisfazione.
|