A
tie solu bramo – Giulio Neri – Il Maestrale
– Pagg. 220 – ISBN 9788864292021
– Euro 18,00
Congedo
Seconda
prova narrativa dell’autore cagliaritano il cui esordio con
"Carta forbice sasso. Memorie senza raccordo" risale al
2016. Ancora una volta ci troviamo di fronte a un’eccellente
prova di scrittura sotto l’aspetto formale, la prosa di Neri è
infatti ricca, mai scontata, a tratti audace, impreziosita da un
retroterra culturale che sa di cinema, di geopolitica, di amore,
espresso in maniera indiretta per la propria terra: la Sardegna. Il
titolo la richiama, prepotentemente, estrapolando la struggente
nostalgia di un uomo-pastore per la donna amata dal canto di Sini, No
potho reposare, divenuto ormai un’icona identitaria per i
sardi, con un unico inciso, quel A tie solo bramo- solo te voglio con
tutto me stesso- che riassume la trama di un romanzo di non facile
lettura. Il lettore è infatti ingabbiato da una cronologia a
ritroso che chiude un periodo di tre anni- ottobre 2016/agosto 2013-
nel quale vengono giocoforza inserite le esistenze dei vari
personaggi le cui economie non possono certo esaurirsi in quel
triennio ma vanno a racchiudere tutto il loro percorso di vita. Il
lettore è insomma ingabbiato, sostenevo poc'anzi, ma al tempo
stesso spronato a ricostruire una vicenda, quella dei due amanti
Clelia e Orlando, della quale viene offerto nelle pagine iniziali un
epilogo che poi funge da avvio narrativo. Svelare la trama
risulterebbe dunque del tutto insensato in siffatta geometria, si può
comunque accennare a un buen ritiro voluto da una donna non più
giovane e condannata da un male che le lascia poco tempo da vivere
nella remota Sardegna meridionale dalla quale viene l’uomo che
ha amato dagli anni novanta nonostante egli fosse già sposato.
Scoprire chi è lei e chi è lui, novello Zivago, sarà
l’oggetto della narrazione affidata di volta in volta al punto
di vista degli altri personaggi che gravitano intorno a questa coppia
e che offrono una caratterizzazione dei due ampia e articolata. Molto
spesso sono lo spazio e il tempo a impreziosire i personaggi perché
le piccole vite sono parte di un respiro più ampio, quello
della Storia, che le nutre, le forgia e le modella e la provenienza
geografica ne sigla, di tali eventi storici, la lettura. “Io
non vivo di illusioni. Non dimentico che la vita è anzitutto
quello che perdiamo, e quello che perderemo”, dice Orlando,
irrisolto uomo, apolide della vita, che trascina nel suo baratro
personale l’esistenza di Clelia già naufragata da sé,
irrisolta e complicata a sua volta in una storia che definire d’amore
è per me un azzardo. Vedo la rappresentazione di due esistenze
difficili e fallimentari, incompiute per volontà personale e
schiacciate dal peso dello scenario storico in cui sono, loro
malgrado, inseriti. La lettura mi ha dunque lasciata perplessa per la
visione della vita che rimanda, dura e amara, non sono riuscita a
cogliere il bello di un legame d’amore così tormentato e
inconcludente pur riconoscendo a Clelia una grande capacità
d’amare ma aldilà del sentire personale riconosco
all’autore una grande capacità espressiva che vedrei
meglio se spogliata di quegli interessi geografici e culturali che
sono emersi in entrambe le sue opere. Aspetto dunque Giulio,
fiduciosa, in una prova narrativa, che viri abilmente oltre la
geopolitica, oltre la Sardegna e oltre i personaggi cupi e a volte
trash per azzardare qualcosa di più lontano da sé.
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