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  Letteratura  »  Il risolutore, di Pier Paolo Giannubilo, edito da Rizzoli e recensito da Grazia Giordani 05/03/2019
 
Il risolutore.


Tra verità e verosimiglianza un romanzo di irrinunciabile lettura



Certo che per affrontare quattrocentoottantasei pagine di un romanzo, senza scollare l’attenzione dalla lunga e contorta trama, abbiamo la certezza che «Il risolutore», di Pier Paolo Giannubilo (Rizzoli, euro 20), sia un libro ipnotico che ci diverte spaventandoci, in perfetta sintonia con l’intenzione del duo Gian Ruggero Manzoni/Pier Paolo Giannubilo che si fanno due in uno.

Incontriamo le dinamitarde sommosse del Maggio Bolognese, dove   Ruggero, iscritto al Dams, si getta a capofitto, simpatizzante per l’estrema sinistra fin dagli anni liceali nel suo Lugo di Romagna. Anni difficili quelli di adolescente frustrato dal suo eccessivo peso corporeo, bullizzato dai coetanei. Divertente la descrizione del ventenne protagonista in corto pellicciotto di visone, supertatuato, anche se c’impensierisce l’eccesso di alcol e soprattutto di acidi e droghe di ogni tipo che ingurgita a più non posso. Ci scappa un morto. In carcere neofascisti e rappresentanti della sinistra estrema familiarizzano. Particolare non trascurabile il peso fatale del cognome che il protagonista si porta addosso, pronipote del grande Alessandro, cugino dell’irriverente Piero. Figlio del conte Giovanni e della contessa Enrica, già nell’origine ha dunque un forte fardello da sopportare. Tanto per non scostarci dall’incoerenza: a suo tempo partigiano, il padre, fascista, la madre. L’ estenuante intervista di Giannubilo ha quasi un effetto Dolby: udiamo voci, suoni, rumori, odori in una polivalenza che c’incanta. Tutta la narrazione è giocata tra il vero e il verosimigliante tra il possibile e il frutto onirico di allucinazioni. Solo i fatti realmente storici sono documentati in maniera rigorosa. Ad esempio «della mattanza dei suoi parenti dopo la Liberazione a opera degli stessi uomini con cui aveva combattuto, Giovanni aveva parlato a suo figlio in due sole circostanze. Entrambe le volte non era riuscito a trattenere i lucciconi». Un’intera famiglia fascista di cugini di Ruggero, persone buonissime e di nulla colpevoli,  era stata massacrata, compresa la servitù e il cane, come era avvenuto in Russia ai danni dello zar e di tutta la sua famiglia. Pare che per i Manzoni tutto avesse avuto origine da un cugino implicato nell’uccisione dei fratelli Rosselli. Sangue su sangue. E intanto Ruggero che convive col morbo di Crohn, con l’eccesso di adipe e con bulimia di ogni genere di vizi, famelico di sesso gratis e pagato, ha allucinazioni, crisi di panico e tendenza a punire le donne. Se Freud ha detto: «uccidete il padre», a noi verrebbe voglia di dire il contrario, perché alla dolcezza e al «laissez-faire» del conte Giovanni, si contrappone lo strapotere  della contessa Enrica.

Il ventenne protagonista non sopporta il carcere, per intercessione del padre, ripiegherà in marina. Nuova iscrizione al Dams  di padre e figlio. A nomi storici come Tondelli e Pazienza, si alternano nomi di fantasia, fino all’arruolamento del protagonista nelle missioni e ai servizi under cover in Libano e a quelle nei Balcani in fiamme, passando attraverso prodezze da killer, affascinato dalle avanguardie di ogni genere artistico, Ruggero evoca ogni eccesso in tutti i campi possibili. Ma sarà poi vero? Ai lettori l’ardua sentenza.

La bella prosa un po’ blasé di Giannubilo assomiglia fortemente al bello scrivere del Manzoni che, abituati come siamo a leggerlo anche in Facebook, sappiamo essere uomo di pace, dotato di cultura strepitosa in tutti i campi.

Difficile pensarlo killer, crudele mangiafemmine. Facile dire che questo è un poliedrico romanzo, fuori dall’usuale, che avrà fatto contento anche l’editore, visto che , appena uscito, il libro è già in ristampa.


Grazia Giordani


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