Il
risolutore.
Tra
verità e verosimiglianza un romanzo di irrinunciabile lettura
Certo
che per affrontare quattrocentoottantasei pagine di un romanzo, senza
scollare l’attenzione dalla lunga e contorta trama, abbiamo la
certezza che «Il risolutore», di Pier Paolo Giannubilo
(Rizzoli, euro 20), sia un libro ipnotico che ci diverte
spaventandoci, in perfetta sintonia con l’intenzione del duo
Gian Ruggero Manzoni/Pier Paolo Giannubilo che si fanno due in uno.
Incontriamo
le dinamitarde sommosse del Maggio Bolognese, dove Ruggero,
iscritto al Dams, si getta a capofitto, simpatizzante per l’estrema
sinistra fin dagli anni liceali nel suo Lugo di Romagna. Anni
difficili quelli di adolescente frustrato dal suo eccessivo peso
corporeo, bullizzato dai coetanei. Divertente la descrizione del
ventenne protagonista in corto pellicciotto di visone, supertatuato,
anche se c’impensierisce l’eccesso di alcol e soprattutto
di acidi e droghe di ogni tipo che ingurgita a più non posso.
Ci scappa un morto. In carcere neofascisti e rappresentanti della
sinistra estrema familiarizzano. Particolare non trascurabile il peso
fatale del cognome che il protagonista si porta addosso, pronipote
del grande Alessandro, cugino dell’irriverente Piero. Figlio
del conte Giovanni e della contessa Enrica, già nell’origine
ha dunque un forte fardello da sopportare. Tanto per non scostarci
dall’incoerenza: a suo tempo partigiano, il padre, fascista, la
madre. L’ estenuante intervista di Giannubilo ha quasi un
effetto Dolby: udiamo voci, suoni, rumori, odori in una polivalenza
che c’incanta. Tutta la narrazione è giocata tra il vero
e il verosimigliante tra il possibile e il frutto onirico di
allucinazioni. Solo i fatti realmente storici sono documentati in
maniera rigorosa. Ad esempio «della mattanza dei suoi parenti
dopo la Liberazione a opera degli stessi uomini con cui aveva
combattuto, Giovanni aveva parlato a suo figlio in due sole
circostanze. Entrambe le volte non era riuscito a trattenere i
lucciconi». Un’intera famiglia fascista di cugini di
Ruggero, persone buonissime e di nulla colpevoli, era stata
massacrata, compresa la servitù e il cane, come era avvenuto
in Russia ai danni dello zar e di tutta la sua famiglia. Pare che per
i Manzoni tutto avesse avuto origine da un cugino implicato
nell’uccisione dei fratelli Rosselli. Sangue su sangue. E
intanto Ruggero che convive col morbo di Crohn, con l’eccesso
di adipe e con bulimia di ogni genere di vizi, famelico di sesso
gratis e pagato, ha allucinazioni, crisi di panico e tendenza a
punire le donne. Se Freud ha detto: «uccidete il padre»,
a noi verrebbe voglia di dire il contrario, perché alla
dolcezza e al «laissez-faire» del conte Giovanni, si
contrappone lo strapotere della contessa Enrica.
Il
ventenne protagonista non sopporta il carcere, per intercessione del
padre, ripiegherà in marina. Nuova iscrizione al Dams di
padre e figlio. A nomi storici come Tondelli e Pazienza, si alternano
nomi di fantasia, fino all’arruolamento del protagonista nelle
missioni e ai servizi under cover in Libano e a quelle nei Balcani in
fiamme, passando attraverso prodezze da killer, affascinato dalle
avanguardie di ogni genere artistico, Ruggero evoca ogni eccesso in
tutti i campi possibili. Ma sarà poi vero? Ai lettori l’ardua
sentenza.
La
bella prosa un po’ blasé di Giannubilo assomiglia
fortemente al bello scrivere del Manzoni che, abituati come siamo a
leggerlo anche in Facebook, sappiamo essere uomo di pace, dotato di
cultura strepitosa in tutti i campi.
Difficile
pensarlo killer, crudele mangiafemmine. Facile dire che questo è
un poliedrico romanzo, fuori dall’usuale, che avrà fatto
contento anche l’editore, visto che , appena uscito, il libro è
già in ristampa.
Grazia
Giordani
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