Patria
– Fernando Aramburu – Guanda – Pagg. 540 –
ISBN 9788823519107
– Euro 19,00
Leggo
uno, due libri a settimana, eppure raramente parlo nel blog dei
racconti e dei romanzi che ho letto. Non mi sento portato per fare,
non dico una recensione, nemmeno una segnalazione che abbia un
qualche costrutto sensato. È inutile che stia qui a dire i
miei difetti, ma è un fatto che non sono in grado e provo una
sana invidia per quelle recensioni ben organizzate, l’analisi,
la trama, i punti salienti, i limiti di un libro, tutto sistemato con
la cura di una tavola imbandita per la festa.
Ma
nonostante questo voglio provare a parlare di Patria, che mi
ha letteralmente rapito. È stato un regalo di Natale che una
volta scartato avevo guardato con perplessità per la mole,
oltre 600 pagine, e per il tema non dei più allettanti, la
lotta senza quartiere tra irredentisti/terroristi baschi, l’ETA,
e il governo centrale spagnolo, in un arco temporale di una trentina
d’anni, dagli ultimi tempi di Franco all’abbandono delle
armi nei primi anni del duemila. Avevo altre letture da completare
per cui l’ho messo da parte per qualche giorno. Nel frattempo
mi era venuta in mente la recensione che avevo letto sul blog di Pina
Bertoli e sono andato a rileggerla. È stata la spinta che mi
serviva per intraprendere il viaggio.
Ed
è stato un viaggio pieno di sorprese e di fascino. Non mi era
mai successo con un romanzo così corposo di arrivare in
prossimità della fine e desiderare che per magia si
raddoppiassero le pagine. Non amo le classifiche ma non ho il minimo
dubbio ad affermare che Patria rientra di forza nella mia
cinquina di libri preferiti di sempre, semmai il dubbio è
sugli altri quattro.
Ma
che cosa lo ha reso ai miei occhi un romanzo così speciale?
Innanzitutto
l’intreccio sapiente tra la tragica Storia recente della sua
terra (Aramburu, l’autore, è basco) e le storie
che racconta. Le vicende reali non sono semplice cornice degli eventi
inventati, non esiste una linea netta che separi il vero dal
verosimile, leggendo non sai, e non t’interessa sapere, se quel
determinato episodio sia successo veramente o meno, tutto esiste,
allo stesso modo in un’unica dimensione che è la
letteratura.
Aramburu
è un narratore equidistante, non prende una posizione politica
pro o contro l’indipendenza della sua terra, rinuncia alla
retorica della partigianeria, ma ha uno sguardo dolente e
appassionato su un mondo che si sgretola tra attentati, torture e
detenzioni, tra odi intransigenti, piccole o grandi meschinità,
e difficili gesti solidali.
La
trama è quanto mai semplice, due famiglie di un paesino basco,
da sempre legatissime, si ritrovano per una serie di circostanze sui
due fronti opposti. Naturalmente non esistono nel romanzo i buoni e i
cattivi, esistono persone seguite con costante affetto da Aramburu
nel loro destreggiarsi nella vita. Lui non ne giudica le scelte, non
ne rimarca gli errori, tutto accade perché forse non poteva
essere altrimenti. Soprattutto gli uomini sembrano seguire un binario
loro assegnato dal proprio carattere e dall’ambiente, gli
uomini vivono, muoiono, uccidono e vengono uccisi, ma sono le donne
le vere protagoniste del romanzo, loro stabiliscono la direzione da
imprimere alla propria vita, non seguono un binario prestabilito, ma
mettono loro stesse le traversine dove ritengono giusto.
Comunque
per ambientazione, trama e personaggi, Patria potrebbe essere un
romanzo come tanti, è la scrittura a farne un’opera
straordinaria.
Aramburu
non rispetta la cronologia degli eventi, sembra che ti narri gli
episodi così, a mano a mano che gli vengono in mente, come
fosse seduto accanto a te, magari con un buon bicchiere di vino in
mano (una bottiglia intera, visto quanto a lungo parla) e, alla tua
richiesta di notizie sulla sua terra, improvvisi un resoconto caotico
che punta tutto sull’immediatezza per essere compreso. A questo
aggiungi che, come avviene nelle chiacchiere tra amici, lui passa
dalla terza alla prima persona, dal passato remoto al presente
all’interno di una stessa frase.
Un
gran casino, insomma.
No,
per niente. Il fatto è che Aramburu non sta affatto bevendo
vino assieme a te davanti al caminetto, no, lui è chino a
dipingere le tessere di un mosaico e ha perfettamente in mente il
disegno generale ma preferisce pitturare ora un tassello che andrà
in alto a destra, subito dopo uno da posizionare al centro, quindi un
altro che va messo nell’angolo in basso a sinistra. E tu
inizialmente apprezzi la bellezza dei singoli frammenti, ognuno un
piccolo gioiello, e solo alla fine quando tutte le tessere saranno al
loro posto guarderai stupefatto l’insieme del mosaico. Una
meraviglia.
massimolegnani
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