Una
bancarella culturale
di
Renzo Montagnoli
Anche
oggi tira vento; in campagna, dove gli spazi sono più ampi, si
avverte di più, mentre in città, dove le case si ergono
come bastioni a malapena riesce a farsi sentire, oppure arriva
smorzato, ansante, una voce ormai flebile, come in questo scorcio,
laddove, lasciata piazza Mantegna con la magnifica concattedrale di
Sant’Andrea, iniziano i portici; arrivato lì, ormai
stremato, solleva un’ultima polvere del tempo e muore. Lì,
dove lo sguardo del turista corre stupito all’antistante
Palazzo della Ragione e magari indugia sulle trifore sognando la
comparsa di qualche mercante d’epoca, ripeto lì ogni
volta che passo butto inconsciamente un occhio, come se la bancarella
ci fosse ancora e lui fosse prono a sfogliare i libri o i fumetti che
vendeva. Quel carretto, che aperto diventava un’esposizione,
era la sua casa, anzi, meglio ancora, era la sua vita, perché
una casa dove riposare (ma era di notte soprattutto che scriveva)
l’aveva, non vicina ma ancora prossima al centro. Alto, con
vestiti in ordine, anche se sempre quelli, i baffetti alla Clark
Gable, magari intento a parlare di letteratura con qualcuno, è
un’ombra che si rischiara per subito sparire, è solo
l’immagine confusa del ricordo, perché Giovanni Piubello
è da un bel po’ che ci ha lasciato; se n’è
andato in punta di piedi, come aveva sempre vissuto, nel 1983, quando
mancavano pochi giorni al solstizio d’estate. Eppure
quest’uomo, mantovano d’adozione, giacché era nato
a San Bonifacio di Verona, paese che aveva lasciato durante
l’infanzia per venire appunto a Mantova a seguito del
trasferimento del padre al locale zuccherificio, ha lasciato una
traccia indelebile in campo letterario che solo per la sua ostinata
riservatezza non è riuscita a evitare l’oblio. Provate a
chiedere chi sia stato Giovanni Piubello e non dico in qualche città
italiana, bensì a Mantova, e non avrete risposta. Già
il suo nome era diventato ignoto ai più dopo una ventina di
anni dalla sua morte ed è merito di Mario Artioli e di
Vladimiro Bertazzoni se nel 2003, con il contributo
dell’Amministrazione Provinciale di Mantova, del Comune di
Mantova e della Fondazione Banca Agricola Mantovana, hanno provveduto
a far pubblicare dall’editore Sometti la sua opera omnia, un
cofanetto di tre volumi più un quarto che è
sostanzialmente una sua biografia a più voci. Tuttavia,
nonostante il pregevole tentativo di ravvivarne la memoria, già
questa è entrata nuovamente nella caligine del tempo e credo,
anzi sono sicuro che sia un errore, perché questo autore,
senza essere a livelli eccelsi come i grandi classici, tuttavia è
stato un valido testimone della sua epoca, tale da annoverarsi fra i
più significativi scrittori dello scorso secolo, di certo non
inferiore a nomi di contemporanei che ora sono senz’altro assai
più conosciuti.
Ed
è per questo che ritengo, grazie al supporto del citato
prezioso cofanetto, di dare il mio modesto contributo per spiegare
agli altri chi fosse Giovanni Piubello.
Giovanni
Piubello (San Bonifacio di Verona, 24 giugno 1921; Mantova, 16 giugno
1983) è stato un letterato unico per tante particolarità.
Lui, che aveva risieduto solo sette anni dove era nato, per poi
trasferirsi a Mantova con la famiglia, lui che qui aveva studiato
conseguendo il diploma di perito industriale, rinunciò a una
vita economicamente sicura per fare il libraio, l’editore e lo
scrittore. Poco a poco divenne per la città una vera e propria
istituzione, con quella bancarella, di certo non al riparo dei rigori
dell’inverno, ma solo dalla pioggia e dalla neve, con cui
vendeva i suoi libri e quelli di altri. Pur essendo una figura
carismatica, era un uomo dimesso, sostanzialmente solitario, ben
lontano dai lucrosi circuiti letterari, ma sempre disponibile a
colloquiare di letteratura con chi, come lui, non desiderava altro
che accrescere la propria cultura. Pubblicò a sue spese il suo
primo libro, Zingara, una raccolta di racconti già
apparsi in epoche diverse sulla stampa cittadina, opera che fu anche
tradotta in russo e che in quel grande paese incontrò un
grande successo. Non contento, si mise in testa di pubblicare una
rivista, con la collaborazione di diversi mantovani, rivista
intitolata La Bancarella e che nemmeno a farla apposta fu in
vendita proprio sulla bancarella per i 64 numeri della sua vita, dal
1955 al 1966. Sempre fucina di iniziative arrivò persino a
scrivere una composizione in versi, A proposito di gobbi, con
evidenti ispirazioni di personaggi gonzagheschi, ma il libro che lo
portò all’attenzione del grande pubblico dei lettori fu
Matti beati, edito da Rizzoli e che gli valse il premio Duomo.
Poteva essere l’occasione per far parlare ancor più di
sé, per liberarsi dall’impegno della bancarella e
dedicarsi maggiormente alla scrittura, ma Piubello, come ho già
scritto, era un uomo schivo, uno di quelli che provava evidentemente
una gioia interiore che non intendeva però condividere con
altri. E così il successo rimase un lampo momentaneo; in tanti
vennero a sapere di questo straordinario personaggio che scriveva
storie e che vendeva libri su una bancarella, ma l’ostinazione
nel restare rinchiuso nel suo bozzolo lo fece ben presto dimenticare.
Era uno di quegli uomini di cui era difficile accorgersi, ma di cui
sarebbe notata subito l’assenza, e così fu, allorchè
il 16 gennaio 1983 venne a mancare. Mi sembra ancora di vederlo con
quel suo sorriso dolce sotto i baffi e mi auguro che quella
meravigliosa e poetica rivisitazione del piccolo mondo della
provincia e dell’infanzia, che è stato Matti beati,
l’accompagni anche nell’eterno percorso su cui si è
incamminato, probabilmente in compagnia di quella tristezza di fondo
che era stata sempre presente in vita e che era riuscito a mitigare
grazie alla sua bancarella e ai contatti, a volte solo sporadici, con
chi passava di lì e si fermava per fare due chiacchiere..
Fonti:
-
I romanzi – Editoriale Sometti, 2005;
-
I racconti, le poesie – Editoriale Sometti, 2005;
-
Piccole storie, Lettere e bottoni in piazza – Editoriale
Sometti, 2005;
-
Album Piubello – Uno scrittore in piazza – Editoriale
Sometti, 2005.
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