L’isola
dell’abbandono – Chiara Gamberale –
Feltrinelli – Pagg. 224 – ISBN 9788807033407
– Euro 16,50
Naxos
«Ho
capito che nessuno di noi, purtroppo, può evitare che i nostri
figli si sentano derubati da quello che noi saremo o non saremo, gli
daremo e non gli daremo… Però se noi, adesso che siamo
solo all’inizio, non ci diciamo bugie, se facciamo lo sforzo di
rimanere saldi e non permettiamo all’Uragano Figlio di portarsi
via le nostre contraddizioni, le nostre impotenze, i nostri più
veri, oscuri desideri, se non trasformeremo i nostri figli nella
scusa per perdere definitivamente il contatto con quello che davvero
siamo, anche se è scomodo, soprattutto se è scomodo, io
penso che quando un giorno loro ci chiederanno: che cosa è
successo, mamma?, come mai qui, nella mia testa, è tutto per
aria? Perché la serratura del mio cuore è stata
scassinata, papà?, bè: almeno una risposta da noi ce
l’avranno, e non dovranno andare a cercarla da un analista,
dall’amore, da una guida spirituale, dall’amore, dai
fiori di Bach, dall’amore.»
p
.23
Quando
all’uscita del locale ha conosciuto quello strano soggetto che
sin dal principio l’ha approcciata con rudezza e con un
soprannome, Occhi, perché quel verde era indescrivibile e alla
fin fine nemmeno il resto era poi da buttar via, ella già
sapeva che tutto sarebbe finito con quel fare l’amore così
naturale e spontaneo che soltanto certi incontri hanno il potere di
avere. Stefano era così, è sempre stato così.
Nonostante i suoi tradimenti, i suoi alti e bassi, i suoi giorni
fissi su PERICOLO BLU dove ogni pretesto era buono, il suo cadere in
ogni tipo di droga dalla cocaina alla ketamina passando anche e non
di meno per l’eroina, nonostante quella relazione che era
chiaramente diventata una terra pericolosa, un Far West dove tutto
era lecito per giustificare quel dolore, quel vuoto, quella super
eccitazione, per lei nessuno poteva sostituirsi a quel primo grande e
devastante amore con cui aveva realizzato i suoi primi libri, con cui
aveva disegnato i suoi primi eroi per bambini. Anche adesso che
aspetta un figlio da Damiano Massimini, quello stesso psicologo con
quindici anni più di lei, la sua barba che pare fatta di
polvere che lo fa sembrare più anziano rispetto a quegli occhi
chiari, vigili e attenti che sono quelli di un ragazzino che prese in
cura proprio quel primo amore, non può far a meno di pensarvi.
E poi, poi c’è Di che è stato l’unico a
toccare realmente le sue corde più intime, tanto da farla
restare invece che, come suo solito, fuggire. C’è Naxos,
“un’isola strana, dove le storie cominciano, passano, ma
non si chiudono mai, perché c’è sempre qualcuno
che si inventa un finale diverso e così tutto ricomincia da
capo, come in un eterno presente” (pag. 212). C’è
l’esser diventata madre con tutto quel che ne compete, l’esser
fragile e al contempo indistruttibile. Chi sono io? Chi ero? Perché
sono qui? Perché è così difficile considerarsi
una famiglia? Cosa ha davvero significato quell’isola e perché
un’assenza può essere più forte e dirompente di
una presenza, perché le possibilità possono farci così
tanta paura da sembrarci irrimediabilmente pericolose e
lesive?
Partendo
dal mito dell’abbandono di Teseo e Arianna e con un’eroina
molto particolare il cui cuore è suddiviso tra tre uomini, che
ha paura, paura di perdere il filo, di perdere le sue certezze,
Chiara Gamberale torna in libreria con un libro intriso di molteplici
tematiche e di spunti di riflessione. Tutto ha inizio con una seduta
in un gruppo di psicanalisi e continua con l’intento di
scrivere una lettera al figlio per spiegare quei perché, per
dare quelle risposte a cui si somma, ancora, un’autoanalisi che
passa dal presente al passato per tornare alla dimensione di Naxos e
riuscire ad affrontare quelle fatali trasformazioni che la vita, con
la sua durezza, la sua crudeltà, la sua inarrestabilità,
semplicemente ci mette davanti. Travolgendoci, destabilizzandoci.
Perché qualcuno nasce, altri muoiono, altri si separano da noi
per molteplici circostanze, altri restano. Ed è difficile
mantenere il controllo quando la nostra esistenza ci sfugge, è
inafferrabile. È difficile sapere chi siamo quando tutto
quello che sempre ci ha caratterizzato va in frantumi come un vetro
di cristallo.
Come
fare allora per affrontare tutto questo? Come uscirne indenni? Come
rinascere? Prima di tutto occorre conoscersi, sapere chi siamo e solo
una volta che tale consapevolezza è sopraggiunta, soltanto
quando siamo consapevoli dei nostri limiti e delle nostre colpe,
soltanto quando ci assumiamo le responsabilità dei nostri
errori senza scaricarli su terzi, allora possiamo dire di avere una
possibilità di riuscire. Allora possiamo essere certi di poter
amare davvero senza essere schiavi di quella persona impossibile con
cui ci facciamo scudo, ci proteggiamo, che diventa lo specchio della
nostra insicurezza, dei nostri sbagli, della nostra mancanza.
Questo
e molto altro è “L’isola dell’abbandono”,
un testo dove siamo chiamati ad interrogarci sui nostri timori, sulle
nostre debolezze, sui nostri successi e insuccessi. Ancora, in
questo, vengono affrontate problematiche quali la paura di restare di
fronte alla possibilità di fuggire, la difficoltà di
assumersi le proprie responsabilità, la paura di sbagliare,
l’evoluzione, la maturazione dell’essere umano. Perché
tutti abbiamo dubbi, tutti abbiamo preoccupazioni, ma possiamo sempre
migliorarci, crescere, di affrontare le nuove difficoltà e
esperienze della vita. E questo è quello che Chiara e la sua
protagonista fanno. Imparando a prendersi cura di loro stesse,
imparando a prendersi cura dei loro bambini, imparando semplicemente
ad amare con semplicità e genuinità.
Un
contenuto forte a cui si associano deliziose illustrazioni (quali il
coniglietto Pilù: che fa su e giù) e uno stile
narrativo che o si ama o si odia. La prima parte, in particolare è
molto descrittiva, prolissa e talvolta confusionaria perché la
scrittrice catapulta il lettore interamente nella mente caotica di
questa neo madre, ma superata questa il messaggio del testo arriva
nella sua totalità e non lascia indifferenti.
«Lei
dà un bacio sulla fronte anche a lui. Poi prende Emanuele in
braccio, fa finta di mordergli un piedino, l’altro. Gli
sussurra in un orecchio: “Ciao amore. Sono tornata”. Lui
le afferra un dito con una mano. Con gli occhi cerca Damiano, lo
trova. E si calma. Misteriosamente, come misteriosamente si era
turbato.
Ma
se sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno
dell’amore. »
Laura
Vargiu
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