Il
prete bello – Goffredo Parise – Adelphi –
Pagg. 259 – ISBN 9788845924767
– Euro 22,00
Ragazzi
di vita
La
mia edizione datata 1965, a lire 350, quella con la copertina
amaranto e il classico capello romano da prete, nella collana
Garzanti per tutti - Romanzi e realtà, reca in copertina una
sorta di occhiello che recita: “vizi e pettegolezzi della vita
di provincia di uno dei più spregiudicati romanzi del realismo
italiano”. Sorrido: è il segno del tempo. Mi chiedo,
ancora una volta, che segno lascia un'opera d'arte in noi lettori a
dispetto delle categorie, della moda dei tempi, di un lancio
editoriale. Sono partita dal più famoso romanzo di Parise,
scritto nel 1954 quando l'autore aveva venticinque anni, e se l'ho
acquistato nel mercato dell'usato è perché qualche
meccanismo, legato molto probabilmente a un'indecifrabile
reminiscenza, è scattato; eppure tutto è respingente,
fin da quelle righe sopra citate. La lettura, purtroppo, per un misto
di contingenze, tutte estranee al romanzo, si è dilatata in
modo disfunzionale, languendo e arrivando perfino a incancrenirsi; la
tentazione di abbandonarlo è stata forte. Complice la voce
narrante di Sergio, un ragazzetto della Vicenza fascista, città
mai palesata nel suo toponimo ma a cui lo scritto tende per natura e
per genesi, proseguo nonostante le decantante bellezze di Don Gastone
e benché le smancerie virginee delle sante donne
ecclesiastiche non mi facciano affatto divertire, a tratti sbadiglio
e mi annoio. Neanche le bravate della naia, la cricca di poveracci a
cui Sergio si rifà, o il suo momentaneo assurgere alle grazie
delle pie donne, affinché egli sia il mezzo per arrivare a
cotanta proibita bellezza, via beneficenza, mi aiutano a superare la
reticenza. Poi arriva lei, Fedora, ventiduenne rigogliosa, e
finalmente l'azione narrativa subisce una gradevolissima svolta e la
caratterizzazione supera le beghine e le frontiere della piccola
provincia si aprono e succede ciò che fino ad allora si era
solo paventato: il prete si fa uomo. E i monelli vivacchiano e tutto
smette di ruotare intorno all'immobilità delle vergini e la
lotta per la sopravvivenza del povero si fa più ardua e più
dura. Sorprendente seconda parte, mentre già qualcosa mi aveva
spinto fin lì: la rappresentazione realistica, vivida , verace
e insieme poetica della miseria, gli ampi inserti descrittivi di uno
spaccato suburbano i cui bozzetti pennellati finemente dell'autore si
imprimono nella memoria come fotogrammi. Sono il portico della
custodia biciclette, i salotti perbene, il gabinetto volante, uno
stravagante sgabuzzino fra i tetti, dotato di un prezioso water:
immagini felliniane, quasi. Ecco, il pettegolezzo vicentino è
quello che mi ha meno interessato, così come ho trovato certo
funzionale la critica al fascismo attraverso la rappresentazione di
un suo mirabile prodotto fattosi prete ma non bella. La bellezza del
romanzo però l'ho trovata, senza ricercarla appunto, anzi
quasi rischiando di non avvertirla, nella storia del piccolo Sergio,
del suo amico Cena e nella sfortuna che si ha a nascere poveri. Lo
consiglio, con consapevolezza.
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