Al
Tayar – Mario Vattani – Mondadori –
Pagg. 329 – ISBN 9788804712312
– Euro 20,00
In
balia delle correnti della vita
Per
chiunque abbia avuto occasione di trascorrere un periodo della
propria vita al Cairo, e non soltanto come semplice turista, questo
bel romanzo fresco di stampa non può che rivelarsi
sorprendentemente evocativo. Tra le sue pagine io ho ritrovato la
stessa identica città conosciuta una decina d’anni fa,
lo stesso caos devastante, gli identici struggenti tramonti, colori,
odori, profumi di sempre…
“[…]
il tappeto sonoro della città, un fruscio ininterrotto come
quello dello schermo di un vecchio televisore senza canali, un
tessuto che ci sovrasta, tenuto insieme dal contrappunto di migliaia
di clacson, di un’infinità di auto, di camion, le sirene
delle ambulanze, lo sferragliare delle betoniere, degli autobus, e
poi le motociclette, i trattori, il fumo nero della nafta bruciata
che soffia su dai tubi di scappamento arrugginiti e si va ad
aggiungere alle tenebre sopra di noi, senza stelle, senza luna.”
La
città del Cairo è così: la si odia o la si ama.
O entrambe le cose, in un alternarsi, spesso contrastante, di
sentimenti e stati d’animo suscitati da questa frenetica
metropoli moderna dal cuore antico.
Alex,
il protagonista di origine italiana di “Al Tayar”,
sceglie di amarla in verità fin da subito, catturato da un
fascino ambiguo a cui si è voluto aggrappare in cerca di una
possibile salvezza e redenzione. Approda casualmente nella capitale
egiziana per ripagare un debito contratto con un giro di gente poco
raccomandabile; il suo lavoro interrotto da fotografo è
rimasto forse a Londra o nell’Estremo Oriente, tra le
insoddisfazioni e le delusioni di una vita sì giovane ma già
pesantemente vissuta. Ad attenderlo al Cairo, in mezzo al sudicio
frastuono delle sue strade, persone non certo migliori di coloro per
cui deve fare una consegna illegale di farmaci, ma tra le quali lui
sembra trovare all’improvviso una sua giusta dimensione, al
punto da chiedere di restare sul posto a lavorare per loro. Eppure
dietro la facciata pulita e l’odore pungente di disinfettante
della clinica di al Maadi, Mohamed, Ahmed, Khaled e altri celano
affari tra i più sporchi e turpi che possano esistere e che
non tarderanno a bussare alla coscienza di Alex, il quale capirà
presto che il suo nuovo lavoro non consiste soltanto nei recarsi
all’aeroporto ad accogliere ricchi pazienti inglesi che hanno
pagato cifre strabilianti per un trapianto che possa salvare loro la
vita. Da dove, e soprattutto da chi, provengono gli organi
trapiantati? È proprio tutto così semplice e
filantropico come qualcuno cerca di dipingere sbrigativamente
l’intera questione?
In
un crescendo di suspense e colpi di scena ben dosati, la penna di
Mario Vattani, diplomatico non nuovo alla narrativa, con grande
maestria dà vita a un noir che intreccia lunghe giornate
assolate e notti insonni ancor più interminabili, dove i
concetti di bene e male si rincorrono spesso lungo confini poi non
così marcati.
Una
scrittura, a livello formale, perfetta, solida, per nulla incline a
comode semplificazioni linguistiche oggi purtroppo in voga; a livello
sostanziale, piacevolmente coinvolgente (tant’è che non
si avverte nemmeno la mole delle pagine) e d’una scorrevolezza
che è pari a quella del Nilo, la cui corrente, come già
anticipa il titolo del libro, affascina e quasi ipnotizza il nostro
protagonista.
“Per
la prima volta mi trovo all’altezza del fiume, e resto
incantato dalla sua massa immensa. I miei passi risuonano sulle
tavole, e sento nelle narici l’odore di quella superficie buia
e fluttuante, punteggiata da mille riflessi di luce. A meravigliarmi
non è solo il profumo di umidità, di fango, di natura,
ma soprattutto l’idea che quello stesso profumo, come un vapore
invisibile che si è andato costituendo particella per
particella, ha attraversato il continente africano per migliaia di
chilometri.”
E
proprio da questa corrente, grande metafora della vita, si lasciano
trascinar via ineluttabilmente tutti i personaggi, ciascuno ben
delineato, tra cui spiccano, in particolare, le figure femminili
principali (Amal, Noura, Nawal) che rispecchiano alla perfezione la
tipologia delle donne in un Paese arabo: da quelle che sono velate e
(mica tanto) pudiche a quelle che, con buona pace di tutti i nostri
cliché preconfezionati sull’argomento, vivono pressoché
all’occidentale con i capelli rigorosamente al vento; a tal
proposito, un meritato plauso deve essere tributato a chi ha scelto
l’immagine di copertina, finalmente lontana da scontati e
prevedibili volti femminili muniti d'islamico hijab, se non
addirittura del più intrigante niqab che, come dimostrato nel
tempo, aiuta a vendere un maggior numero di copie specie quando si
tratta di presunti casi editoriali di poca sostanza.
Scritto
con grande passione e dovizia di particolari, “Al Tayar”
è un bellissimo romanzo che un autore digiuno del Cairo non
avrebbe mai potuto mettere nero su bianco; si sente che Vattani ha
vissuto la città nel profondo, l’ha fatta propria
(persino linguisticamente!), forse l’ha amata come il suo Alex
e, chissà, anche odiata nei giorni più grevi e
insopportabili. In fondo, è lei l'altra grande protagonista,
questa immenso, tentacolare agglomerato urbano dal colore del deserto
e che il deserto intorno sembra voler ormai divorare, con i suoi
labirinti di sopraelevate, il suo traffico disordinato e incessante,
la selva di antenne satellitari sulle terrazze, ma anche i suoi
angoli che paiono oasi fuggite dal caos cittadino, come la collina
del Muqattam, dove sorge la Cittadella con la Moschea di Muhammad
‘Ali (uno dei luoghi più belli che io stessa abbia mai
visto), o il complesso di al Azhar. Una città che incanta e
rapisce l’anima quando scende la sera sul Nilo e dai minareti
s’alzano all’unisono le voci dei muezzìn, ma che
può anche precipitare negli inferni più oscuri come
accade nel drammatico epilogo della vicenda narrata. Cinque stelle e
lode!
Laura
Vargiu
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