Ultimo
viandante – Gian Franco Magenta –
L’ArgoLibro – Pagg. 68 – ISBN 978-88-94907-36-0
- Euro 10,00
Nel
silenzio della natura
Una
scrittura poetica intrisa di colori, suoni e profumi del bosco,
quella di Gian Franco Magenta, nella quale ho avuto il piacere di
imbattermi inaspettatamente.
È
poesia lieve e delicata che sa essere però particolarmente
incisiva e potente nel suo dipingere l’esistenza e partecipare
“alla vita di una natura misteriosa” che, ipnotica, tiene
legato a sé il cuore del Poeta.
“Io
amo il bosco,/ amo la sua vita,/ il suo palpitare,/ il suo
linguaggio/ muto, discreto.”
Si
alternano così le frondose immagini silvane e quelle che
indugiano preferibilmente, in una malinconia antica d’ombre e
sfumature di luce, sul mesto finire dell’estate.
“Incombe
ormai,/ il freddo sul verde./ Il cielo cinereo/ volge all’equinozio.
Freme l’autunno.”
E
alla Natura, quella più autentica, intensa e vibrante, carica
di quieto indifferente silenzio che parla a suo modo, il Poeta fa
sempre ritorno come a un rifugio sicuro, portando con sé,
ineludibili, i propri affanni, le inquietudini, gli interrogativi
devastanti dell’umano vivere.
“La
terra non risponde al mio grido./ […] Abbraccio i ruvidi
tronchi/ nella verde luce dell’amata foresta,/ cerco il
sollievo nel lieve respiro/ delle foglie, ora fitte ora rade;/ chiedo
ad essi di lenire il mio affanno,/ chiedo ad essi, parte del tutto,/
cosa è il mondo,/ questo essere piccolo e smisurato,/
tangibile ed inafferrabile,/ che mi solleva ed opprime,/ che mi fa
paura e coraggio,/ che io penso di stringere e mi sfugge,/ che mi
rende triste e contento,/ in una continua illusione,/ nel dubbio, nel
tormento.”
Come
sono lontani, in quell’eterna intensità di attimi, i
rumori assordanti di un mondo che tra le auto in corsa, in una
quotidianità ormai di lamiera e gomme, avido divora ragione e
sentimenti rendendoci semplici automi, pressoché ignari della
nostra essenza più profonda.
I
versi spaziano malinconici sopra campi “colmi di riso”,
prati rugiadosi di primavere mature o ancora acerbe, acque di fiume
che elargiscono vita e morte, cieli di myosotis che si tingono
d’indaco e tristezza nell’opacità della sera che,
come di consueto,“stende sul mondo/ la sua veste trapunta di
stelle.”
Da
leggere e rileggere ascoltando il lirico palpitar delle sue parole,
una silloge meravigliosa che canta dunque l’amore: per la Vita,
per la propria terra, per l’amore stesso, quello più
intimo che si fa inscindibile intreccio di carnalità e spirito
per riflettersi nello sguardo e sul volto di chi si ama, magari tra
le ombre della sera, mentre il cuore, proprio come un ultimo
instancabile viandante, percorre il cammino astruso della vita che
viene meno e, inevitabilmente,“si fa più fatale”.
Laura
Vargiu
|