Buonanotte,
signor Lenin – Tiziano Terzani – Longanesi
– Pagg. 432 – ISBN 9788830410930 – Euro 18,60
Grazie,
Tiziano
Tra
pochi giorni, il 28 luglio, ricorrerà il quindicesimo
anniversario della morte di Tiziano Terzani, giornalista e scrittore
che ammiro tantissimo e del quale, già prima della sua
scomparsa, avevo letto e molto apprezzato numerose sue pubblicazioni.
Si sente la mancanza della sua scrittura, semplice, appassionata,
sincera, come ce ne sono poche, e un doveroso ricordo non è
fuori luogo.
In
verità, in Italia – intendo a livello ufficiale –
le commemorazioni non si sprecano. Ricordo ancora quando, alla fine
del luglio del 2004, uno scarno comunicato al telegiornale diede
notizia della sua morte; i vip televisivi di turno, in vacanza presso
qualche rinomata località estiva, ebbero senz’altro più
spazio tra le news di quei giorni. Credo che in Germania, Paese per
il quale Terzani lavorò per ben tre decenni come
corrispondente dall’Asia di “Der Spiegel”, il suo
nome non sia invece finito nel dimenticatoio. Fortuna che, a dispetto
dello snobismo nei suoi confronti, un vasto pubblico di affezionati
lettori e ammiratori pure qui da noi non gli è mai mancato.
Già, perché il grande pregio del nostro giornalista
toscano, secondo me, è sempre stato quello di farsi capire da
tutti, tanto dall’accademico quanto da chi non può
vantare alti titoli di studio, anche se parlava degli uiguri dello
Xinjiang o del marxismo-leninismo in salsa cinese fino alla sterzata
capitalistica del pur sempre comunistissimo Deng, dell’antica
spiritualità indiana o della dissacrante modernità
giapponese.
Nemmeno
in “Buonanotte, Signor Lenin” il suo modo di raccontare
si smentisce, regalandoci, praticamente in diretta, una preziosa
testimonianza sul disfacimento dello sconfinato impero sovietico.
Partendo dalla Siberia più estrema, dove già si trovava
proprio nei giorni del golpe ai danni di Gorbaciov (agosto 1991),
Terzani affronta un lungo e improvvisato viaggio attraverso le
repubbliche di quella che stava diventando ormai la ex Unione.
Chilometri e chilometri di Storia, storie, popoli, culture,
religioni, timori, speranze, illusioni, fino a raggiungere Mosca dopo
circa un mese e mezzo dall’inizio di quel viaggio. Da una parte
all’altra, a cadere non sono soltanto le colossali statue in
bronzo di Lenin, padre della Rivoluzione, ma anche le poche certezze
che quelle genti avevano da settant’anni, sostituite in quel
momento dalla prospettiva di un futuro pieno di incognite. E mentre i
comunisti di un tempo si riciclano e con un’abile “operazione
cosmetica”, magari ribattezzandosi socialdemocratici, restano
un po’ ovunque al potere, in molti iniziano a preoccuparsi di
come fare in fretta i tanto agognati dollari, segno evidente del
completo fallimento del sistema. Molto interessante, tra l’altro,
la parte relativa alle repubbliche dell’Asia Centrale, quelle
di tradizione musulmana e non etnicamente russe, che mi ha ricordato
varie cose studiate a suo tempo e permesso di scoprirne di nuove;
così come ho trovato degno di nota il capitolo dedicato
all’Armenia, dove una pesante tristezza finisce per permeare
luoghi e persone che ancora oggi portano il peso incancellabile del
genocidio a opera dei turchi di un secolo fa.
Per
nulla superflue le considerazioni dell’autore sul comunismo e
il suo crollo: se è vero che “come sistema di potere,
fondato sull’intolleranza e sul terrore, il comunismo doveva
finire”, è innegabile tuttavia che “là dove
non era al potere, ma restava come un’alternativa d’opposizione
– nei paesi dell’Europa Occidentale, per esempio –
il comunismo […] ha contribuito al progresso sociale della
gente” e che al principio esso “era una grande forza, una
ispirazione”. Al di là di tutto questo sistema in
dissoluzione ci sono milioni di persone, sovietici che, di colpo, si
riscoprono kazaki, tagiki, azeri, uzbeki etc., in un risveglio
improvviso di nazionalità che intimorisce non poco. Ecco, la
gente… Terzani amava scriverne, forse perché le singole
storie di pochi raccontano un intero territorio meglio di tanti
discorsi di facciata dei suoi capi di turno (politici o religiosi):
dai portieri e le donne di servizio degli hotel per turisti agli
operai delle fabbriche, dalle hostess e piloti della disastrata
compagnia di bandiera sovietica a coloro ancora perseguitati dal KGB,
questo libro è pieno di piccole storie, quelle che più
colpiscono e restano impresse.
E
allora grazie, Tiziano, grazie per queste bellissime pagine e tutte
le altre indimenticabili che hai scritto! Pagine che, negli anni, mi
hanno fatto viaggiare, pur restando tra le mura di casa o lungo brevi
itinerari consueti a bordo di un treno, fino ai piedi dell’Himalaya
oppure tra le strade di Saigon del ’75 come tra quelle di Hong
Kong del ’97, poco prima del ritorno della città alla
madrepatria cinese; stavolta addirittura tra quelle delle leggendarie
Bukhara e Samarcanda, al cospetto di antichi caravanserragli e
incantevoli minareti e cupole di moschee. Grazie perché,
personalmente, ti devo molto più della semplice buona riuscita
di un paio di esami universitari preparati in parte sui tuoi libri.
Chissà quante tue nuove opere ci siamo persi nel corso di
questi quindici anni, di certo non avresti mancato di pubblicarne.
Grazie per il tuo sguardo sul mondo, sempre curioso e mai
superficiale, grazie per il cuore che mettevi nello scrivere, pregio
di pochi rispetto alla professionale “asetticità”
delle cronache di molti fra coloro che svolgono il tuo mestiere.
Grazie, perché i tuoi pensieri e le tue parole risuonano come
uno splendido inno alla vita e alla pace in un mondo allo sbando che,
purtroppo, non ha ancora compreso che la propria bellezza sta
nell’altissimo valore della sua diversità.
Laura
Vargiu
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