Come
cavalli che dormono in piedi – Paolo Rumiz –
Feltrinelli – Pagg. 266 – ISBN 2000000035321
– Euro 18,00
Niente
retorica!
Siamo
alla vigilia del centenario della Grande Guerra, il Paese è in
fermento, la retorica diventa industria e i già monumentali
sacrari italiani, squadrati, vuoti, simbolo dell'incapacità di
custodire il ricordo e di farlo parlare appaiano mere
spersonalizzazioni di quella che invece fu la tragedia più
individuale che potesse colpire i popoli della vecchia Europa, quando
niente parlava di guerra, quando il progresso spianava la via della
sicurezza e della tranquillità. Confido di avere provato
sentimenti simili presenziando a certi eventi commemorativi dove la
retorica dell'Istituto Luce veniva proposta, ancora, e senza nessun
filtro. La guerra è guerra, sempre, la guerra è morte,
non si vince, si perde, sempre. Paolo Rumiz, ecco, ha risvegliato in
me quel sentimento, quando raccontando del suo sconforto provato nel
sacrario di Redipuglia decide di seguire le voci di quei militari
italiani e di spingersi fino alla sperduta Galizia e di ripercorrere
il sacrificio dei tanti italiani che combatterono dalla parte
sbagliata, come suo nonno, o meglio combatterono a favore di quella
che allora era la loro patria. Il nonno tornò ma la sua
esperienza divenne un tabù nella sua Trieste divenuta
italiana. E l'Italia ha dimenticato questi soldati, per loro nessuna
celebrazione, nessun monumento, solo l'oblio e la vergogna per aver
combattuto dalla parte sbagliata. Il viaggio intrapreso da Rumiz apre
le porte al lettore per dimensioni geografiche, storiche e culturali
spesso inesplorate o dimenticate o peggio ancora denigrate, alla
scoperta di un'umanità accomunata dalla stessa tragedia. È
un itinerario difficile da seguire, uscire da Trieste verso est è
oggi difficoltoso, quello che un tempo era il centro dell'impero
austroungarico è attualmente una terra sulla quale la nostra
nazione non investe, la rete ferroviaria imperiale è dismessa,
il viaggio si presenta subito difficile ma non impossibile. Rumiz
però non ha fretta, segue il suo istinto e raggiungendo i
luoghi delle battaglie, quelle sconosciute dell'altrettanto
sconosciuto piatto fronte orientale del quale nessun manuale di
storia nostrano fa menzione, si immerge in essi, li fa propri, li
sente quasi in forma mistica e ce li ripropone come dovettero viverli
e sentirli i nostri triestini. Porta con sé i loro scritti e
li fa riecheggiare, ritrova i sepolcri di quelli che non ebbero modo
di rientrare e di testimoniare e vi lascia un lumicino. Il viaggio
prosegue poi verso la Polonia e pagina dopo pagina apre inesplorate
geografie ritrovando storie e destini che spesso si incrociano. Una
lettura affascinante, ricca di riferimenti bibliografici, dai diari
dei soldati ai memoriali letterari, alla letteratura yiddish, al mito
del finis Austriae. Una prima conoscenza di Rumiz del quale mi
riprometto di leggere gli altri memoriali di viaggio ai quali da
decenni ormai si dedica. Un senso di gioia nell'aver trovato un degno
successore di quel Terzani che tanto mi aveva arricchita in termini
culturali e umani con le sue esperienze di vita, di viaggio, di
lavoro.
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