Cristo
si è fermato a Eboli – Carlo Levi –
Newton Compton – Pagg. 236 – ISBN 9788854120129
– Euro 10,50
Anche
gli dei dimoravano in alto…
L’opera
nacque materialmente da un atto di scrittura che si colloca fra il
Natale del 1943 e la fine di luglio del ’44 quando l’autore
viveva clandestino a Firenze , nel momento più drammatico
della guerra, e sentiva più accesa la comunanza emotiva con
l’esperienza del confino in Lucania che lo aveva costretto a
isolamento e presunta solitudine fra il 1935 e il 1936. Lo scritto in
realtà si colloca nel solco delle esperienze precedenti dello
scrittore: la nascita da famiglia borghese ebrea, i natali torinesi,
la laurea in medicina, l’esordio artistico in qualità di
pittore, la militanza politica antifascista convogliata poi nel
movimento “Giustizia e libertà” ma già
bisogno impellente fra i banchi del liceo e per finire l’esperienza
reiterata del carcere. Apparve dopo la Liberazione , nel 1945, ma fu
preceduto nel ’39 dallo scritto “Paura della libertà”,
l’opera più importante dello scrittore, custode del suo
pensiero, pubblicata solo nel ’46 e fortemente osteggiata dalla
cultura militante dell’epoca. Fu preceduta anche dalla
espressione pittorica rintracciabile nei numerosi quadri che Levi
dipinse in Lucania, primo fermo immagine delle forti impressioni che
la realtà contadina, a lui fino ad allora sconosciuta,
impresse nel suo universo culturale da principio attraverso gli occhi
per andare a depositarsi poi nel cuore, residenza eletta
dell’universo emotivo. Il libro che scrisse nacque dunque da
questo substrato, dall’esperienza diretta, dalla necessità
di dare voce a una realtà prima che dimenticata, sconosciuta.
La Lucania, una terra estranea e straniera in patria, sentita da
principio dall’autore come lontana e incomprensibile quanto
inaccessibili gli risultano i due paesi nei quali è costretto
a dimora: Stigliano e Gagliano (Aliano, in realtà). Una terra
ostile che si arrocca raggiungendo picchi dimenticati da Dio dove
l’uomo vive in misere case circondate da calanchi. Un paesaggio
aspro, suggestivo e variegato come l’umanità che lo
popola. Una terra che lo accoglie e che lui impara a conoscere,
apprezzare e amare.
È
un’opera ibrida, né romanzo, né saggio, né
memoriale; parte certo dal racconto di un’esperienza personale
ma si colloca fra poesia, documento, saggio etnografico, racconto,
pamphlet politico. La posizione di Levi è ben chiara: questo
mondo arcaico e ancestrale è stato capace di preservare “il
senso umano di un comune destino” perché si fonda su una
“fraternità passiva”, su un “patire
insieme”, su una “secolare pazienza”, l’immergersi
in esso determina arricchimento umano e ulteriore allontanamento
dalla barbarie del presente. Da leggere in ogni epoca.
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