La
noia – Alberto Moravia – Bompiani –
Pagg. 336 – ISBN 9788845283970 – Euro 14,00
Senza
via d’uscita
Nel
1960 Moravia pubblica “La noia” che, dopo la parentesi
neorealista postbellica (“La romana”, “La
Ciociara”), riporta il lettore al punto di partenza, “Gli
indifferenti” del lontano 1929. È un ritorno alla
rappresentazione della borghesia in un mutato scenario storico,
sociale ed economico: sono gli anni del grande sviluppo industriale,
quelli che porteranno all’avvio di un modello consumistico solo
apparentemente democratico, all’abbandono della morale
tradizionale veicolata dalla religione, alla percezione di una
maggiore libertà individuale, all’allentamento dei
rapporti e dei vincoli in seno alla famiglia , all’avvio di un
modello consumistico senza ritorno. La borghesia è sempre una
classe sociale privilegiata, chiusa e portatrice di un intimo
malessere ma ora può incontrare e riconoscere lo stesso
disagio anche fuori dal suo mondo. È il caso di Dino, pittore
trentacinquenne, romano, ricco borghese, incastrato in una vita che
non gli appartiene, schiacciato da una identità sociale che
non corrisponde al suo sentire. Vive in via Margutta, ha abbandonato
gli agi di una comoda e lussuosa villa nella via Appia, cerca la sua
identità nell’attività artistica. Lo conosciamo
mentre inizia a percepire un’avversione anche verso questa
identità che lo aveva salvato da un malessere pervasivo che
lui, narratore in prima persona, chiama “noia”,
specificando con opportuna disamina dal tono asciutto, analitico e
clinico in cosa consiste questo sentire, non certo riconducibile alla
accezione più nota del termine. La noia è
l’impossibilità di collocarsi nel fluire della vita, è
la percezione di un distacco gelido dal proprio vissuto, un’urgenza
che, paradossalmente, mentre dovrebbe tendere all’azione porta
invece all’inazione, all’inerzia perché si risolve
in una successione di corto circuiti rispetto alla percezione della
oggettività del reale. Tutto ciò che si manifesta
intorno a Dino è reale ma assurdo e in quanto tale impossibile
da vivere. A Dino è concessa però un’ancora di
salvezza, si tratta della giovane Cecilia , una ragazza che con il
suo aspetto provocante, con il suo torbido passato, con la sua
modesta provenienza sociale potrebbe rappresentare l’alternativa
alla stasi. I due intrattengono una relazione sessuale che sfocia
presto nell’ennesima trappola per Dino: quando tutto si fa
chiaro e certo, ritorna la noia e lui decide di lasciare Cecilia. Il
comportamento della ragazza che gli anticipa la mossa rendendosi
improvvisamente ambigua, irraggiungibile e sfuggente ribalta la
situazione e vincola Dino a quello stesso oggetto donna che ormai
aveva perso qualsiasi attrattiva. I suoi sforzi di appropriarsi di
lei, di fermarla, di vincolarla , di imborghesirla per favorire
quella vitalità che altrimenti non percepirebbe trasformano la
relazione in un inseguimento senza speranza. Cecilia è l’altra
faccia della medaglia, Cecilia è la noia povera, non possiede
niente, non si attende niente, vive alla giornata lieta e
spensierata, senza vincoli morali, senza vincoli famigliari, incapace
di darsi agli altri se non con il corpo. È la cartina al
tornasole del disagio trasversale a tutte le classi sociali secondo
una fenomenologia che varia per spazi, ambienti, vissuti. Non c’è
denaro che possa modificare la condizione di prigionia sentita e
vissuta da Gino e da Cecilia , il dio denaro non garantisce la
felicità nel primo caso, il dio denaro non compra la felicità
nel secondo. La soluzione al disagio del vivere è vincolata
alla volontà e ognuno la esercita come meglio riesce. Lettura
claustrofobica, secca, lineare, angosciante, all’insegna di un
esistenzialismo soffocante. Senza via d’uscita.
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