Il
ciarlatano – Isaac Bashevis Singer –
Adelphi – Pagg. 268 – ISBN 9788845933912
- Euro 20,00
Persi
per sempre
Ennesimo
inedito del grande Singer restituito a quasi trent’anni dalla
morte al pubblico mondiale e in Italia per iniziativa della casa
editrice Adelphi che, avvalendosi della professionalità di
Elisabetta Zevi, il cui nome non ha bisogno di presentazioni, e della
traduzione dell’altrettanto affermata e brava Elena Loewenthal,
permette di conoscere meglio la produzione del premio Nobel per la
letteratura, 1978. È l’ennesimo scritto in yiddish, la
lingua madre, mai rinnegata e anzi elevata a statuto letterario, la
lingua di tutta la sua produzione, un patrimonio culturale da
coltivare e tenere vivo in terra straniera a ricordare un mondo
perduto ma ancora pulsante. Sono gli anni sessanta, quelli della
rivoluzione culturale giovanile, quelli compresi più nel
dettaglio fra la fine del dicembre 1967 e il maggio 1968, a vedere
l’uscita a puntate sul quotidiano yiddish di New York
??Forverts?? di questo bel romanzo sotto lo pseudonimo Yizkhok
Warshavski, quello usato per la produzione ‘popolare’
oltre che per i pezzi giornalistici.
E
forse è vero, troviamo in quest’opera una prosa più
dimessa, una struttura più sobria, quasi un fare didascalico,
una minore tensione narrativa, un intreccio tutto sommato
prevedibile, ma la penna del grande Singer è ben riconoscibile
e restituisce una dimensione più americana, avvicinabile al
migliore Malamud e oserei dire anche al più feroce Simenon.
Una miscela di ebraismo e di americanità che rende questa
lettura estremamente moderna e avvincente, senza peraltro
tralasciare, ma anzi nutrendosi, fin nella sua essenza più
profonda, della cultura ebraica che l’ha partorita.
È
infatti la storia di tanti polacchi, ma due in particolare, il
ricchissimo Morris Kalisher e lo sfaccendato Hertz Minsker, il nostro
ciarlatano, che, negli anni del secondo conflitto mondiale, prima del
coinvolgimento degli USA nella guerra, proliferano nel grande sogno
americano, tutti sfuggiti dalle adunche grinfie della sanguinaria
mano nazista. Sono immigrati, chiaramente identificabili eppure ben
assimilati, spesso hanno ripudiato il loro credo e vivono lontani
dalla legge della Torah e lo avrebbero fatto a prescindere dalla loro
condizione. Sono esseri finiti, tremendamente umani, pieni di limiti
e dalla condotta riprovevole; qualcuno si è arricchito, molti
vivono di espedienti, altri confermano la loro indole che ha come
comune matrice l’identità del perseguitato, dell’esule
senza requie, talvolta dell’apolide. Si arrangiano come possono
in un’ America, e qui New York ne è il simbolo perfetto,
che accoglie ma divora, inglobando in uno sterile capitalismo i
destini di un pullulare di persone che si sviliscono in esistenze
frenetiche e vuote e in un materialismo senza speranza sfociante in
un inevitabile ateismo. Il pensiero del destino dei propri
connazionali chiusi nei ghetti, costretti alla stella gialla,
tradotti forzatamente in campi di lavoro o di sterminio, qualche
volta si affaccia nelle loro coscienze, le ripulisce blandamente,
resettandole per il successivo abominio. Il maggiore rappresentante
di questo tormentato modo di vivere è lui, il ciarlatano: si
nutre di teorie che mischiano edonismo spinoziano a misticismo
cabalistico, condito di un pizzico di idolatria, a saldare,
confondendoli inevitabilmente, piacere e religione. È un
grande amatore, un temprato simulatore, il peggiore traditore. Si
dibatte nell’eterno dubbio esistenziale, il dubbio gli è
necessario per affermare che scienza e religione sono parte di
un’unica verità della quale ancora nessuno è
stato messo a parte. Tanto vale allora buttarsi nella parapsicologia
…
La
trama insomma, capirete, è presente e pure gradevole, ma è
debole pretesto per intessere una brillante tragicommedia, una vera e
propria pantomima che si nutre del variegato e brillante modulo della
commedia degli equivoci, rendendo gradevole una lettura che è
puro atto di denuncia della condizione dell’ ebreo moderno. Chi
è costui? Non solo il ciarlatano, sarebbe troppo comodo!
L’ebreo moderno non ha niente da invidiare al nazista, “siamo
tutti nazisti, nazisti circoncisi”, lo pensa Morris, lo
conferma Hertz, vermi senza dio, votati al dio denaro, alla
solitudine inghiottiti e divorati dalle splendide luci della città,
meritano certo, gli ebrei, l’ennesima trappola per topi che la
moderna civiltà offre nella dorata America.
Ritratto
amaro e impietoso , se i toni lievi della commedia non hanno sortito
l’effetto contrario, umoristico e paradossale, dell’ebreo
perso per sempre. Aldilà della specificità culturale e
storica, fa sorridere amaramente il comune destino di ogni uomo sulla
terra, con la netta differenza che forse noi, un cantore così
della nostra disfatta non lo abbiamo se non andando fino ai tempi di
Dante.
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