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  Letteratura  »  Il ciarlatano, di Isaac Bashevis Singer, edito da Adelphi e recensito da Siti 19/11/2019
 
Il ciarlatano – Isaac Bashevis Singer – Adelphi – Pagg. 268 – ISBN 9788845933912 - Euro 20,00


Persi per sempre


Ennesimo inedito del grande Singer restituito a quasi trent’anni dalla morte al pubblico mondiale e in Italia per iniziativa della casa editrice Adelphi che, avvalendosi della professionalità di Elisabetta Zevi, il cui nome non ha bisogno di presentazioni, e della traduzione dell’altrettanto affermata e brava Elena Loewenthal, permette di conoscere meglio la produzione del premio Nobel per la letteratura, 1978. È l’ennesimo scritto in yiddish, la lingua madre, mai rinnegata e anzi elevata a statuto letterario, la lingua di tutta la sua produzione, un patrimonio culturale da coltivare e tenere vivo in terra straniera a ricordare un mondo perduto ma ancora pulsante. Sono gli anni sessanta, quelli della rivoluzione culturale giovanile, quelli compresi più nel dettaglio fra la fine del dicembre 1967 e il maggio 1968, a vedere l’uscita a puntate sul quotidiano yiddish di New York ??Forverts?? di questo bel romanzo sotto lo pseudonimo Yizkhok Warshavski, quello usato per la produzione ‘popolare’ oltre che per i pezzi giornalistici.

E forse è vero, troviamo in quest’opera una prosa più dimessa, una struttura più sobria, quasi un fare didascalico, una minore tensione narrativa, un intreccio tutto sommato prevedibile, ma la penna del grande Singer è ben riconoscibile e restituisce una dimensione più americana, avvicinabile al migliore Malamud e oserei dire anche al più feroce Simenon. Una miscela di ebraismo e di americanità che rende questa lettura estremamente moderna e avvincente, senza peraltro tralasciare, ma anzi nutrendosi, fin nella sua essenza più profonda, della cultura ebraica che l’ha partorita.

È infatti la storia di tanti polacchi, ma due in particolare, il ricchissimo Morris Kalisher e lo sfaccendato Hertz Minsker, il nostro ciarlatano, che, negli anni del secondo conflitto mondiale, prima del coinvolgimento degli USA nella guerra, proliferano nel grande sogno americano, tutti sfuggiti dalle adunche grinfie della sanguinaria mano nazista. Sono immigrati, chiaramente identificabili eppure ben assimilati, spesso hanno ripudiato il loro credo e vivono lontani dalla legge della Torah e lo avrebbero fatto a prescindere dalla loro condizione. Sono esseri finiti, tremendamente umani, pieni di limiti e dalla condotta riprovevole; qualcuno si è arricchito, molti vivono di espedienti, altri confermano la loro indole che ha come comune matrice l’identità del perseguitato, dell’esule senza requie, talvolta dell’apolide. Si arrangiano come possono in un’ America, e qui New York ne è il simbolo perfetto, che accoglie ma divora, inglobando in uno sterile capitalismo i destini di un pullulare di persone che si sviliscono in esistenze frenetiche e vuote e in un materialismo senza speranza sfociante in un inevitabile ateismo. Il pensiero del destino dei propri connazionali chiusi nei ghetti, costretti alla stella gialla, tradotti forzatamente in campi di lavoro o di sterminio, qualche volta si affaccia nelle loro coscienze, le ripulisce blandamente, resettandole per il successivo abominio. Il maggiore rappresentante di questo tormentato modo di vivere è lui, il ciarlatano: si nutre di teorie che mischiano edonismo spinoziano a misticismo cabalistico, condito di un pizzico di idolatria, a saldare, confondendoli inevitabilmente, piacere e religione. È un grande amatore, un temprato simulatore, il peggiore traditore. Si dibatte nell’eterno dubbio esistenziale, il dubbio gli è necessario per affermare che scienza e religione sono parte di un’unica verità della quale ancora nessuno è stato messo a parte. Tanto vale allora buttarsi nella parapsicologia …

La trama insomma, capirete, è presente e pure gradevole, ma è debole pretesto per intessere una brillante tragicommedia, una vera e propria pantomima che si nutre del variegato e brillante modulo della commedia degli equivoci, rendendo gradevole una lettura che è puro atto di denuncia della condizione dell’ ebreo moderno. Chi è costui? Non solo il ciarlatano, sarebbe troppo comodo! L’ebreo moderno non ha niente da invidiare al nazista, “siamo tutti nazisti, nazisti circoncisi”, lo pensa Morris, lo conferma Hertz, vermi senza dio, votati al dio denaro, alla solitudine inghiottiti e divorati dalle splendide luci della città, meritano certo, gli ebrei, l’ennesima trappola per topi che la moderna civiltà offre nella dorata America.
Ritratto amaro e impietoso , se i toni lievi della commedia non hanno sortito l’effetto contrario, umoristico e paradossale, dell’ebreo perso per sempre. Aldilà della specificità culturale e storica, fa sorridere amaramente il comune destino di ogni uomo sulla terra, con la netta differenza che forse noi, un cantore così della nostra disfatta non lo abbiamo se non andando fino ai tempi di Dante.

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