Trionfo
della morte – Gabriele D’Annunzio –
Mondadori – Pagg. 556 – ISBN 9788804506461
– Euro 10,50
Eros
e Thanatos
"L'amore
è la più grande fra le tristezze umane perché è
il supremo sforzo che l'uomo tenta per uscire dalla
solitudine."
Terzo
e ultimo dei cosiddetti “romanzi della rosa”, l’opera
è incentrata sulla storia d'amore che vivono Giorgio Aurispa e
Ippolita Sanzio. Si tratta di un rapporto alquanto tormentato che ha
inizio a Roma, tra il profumo dell'incenso e delle violette, e ha
fine in modo tragico in una località marina di quell'Abruzzo
sempre tanto caro a Gabriele d’Annunzio.
Non
privo di elementi autobiografici, il romanzo presenta una componente
molto importante, forse ancor più dell'eros, che aleggia nel
corso della narrazione: la morte, “l'invincibile”, come
non a caso s'intitola il libro sesto. Questa, infatti, non si svela
soltanto nella parte conclusiva, al momento del gesto folle
dell'Aurispa, ma nel procedere della storia si possono scorgere
diversi elementi che l’annunciano, rendendola così
onnipresente: la chiazza nerastra lasciata dal suicida sulla strada,
a Roma; Ippolita che cala il velo nero sull'ultimo bacio prima che
Giorgio si rechi a Guardiagrele; il funerale del parroco del paese;
il ragazzetto con la stampella del corteo funebre; il figlio della
sorella Cristina, quel bimbo dalla grossa testa sempre china sul
petto; il viso cadaverico dell'ingorda zia Gioconda; il violino dello
zio Demetrio che sta chiuso nella custodia come un cadavere nella
bara; il bambino annegato nelle acque di San Vito; le masse
pellegrinanti a Casalbordino. Suonano tutti come presagi di morte,
per non parlare del ricordo, sempre vivo nella memoria del
protagonista, dello stesso Demetrio, lo zio suicida, l'uomo dolce e
meditativo nel quale spiccava “una ciocca bianca tra i capelli
oscuri che gli si partiva di sul mezzo della fronte”.
Una
storia molto intensa, al pari dei suoi protagonisti: Giorgio, che
“non poteva sottrarsi al bisogno di cercare la felicità
nel possesso di un'altra creatura”, rappresenta forse la parte
più tormentata, quella che più soffre all'interno della
coppia; il suo è anzitutto un dolore spirituale che si acuisce
ogni volta in cui viene meno il controllo su Ippolita. E non si
tratta di un possesso puramente fisico quello al quale lui aspira.
Lei, che è donna sensuale, anzi la voluttà in persona,
finisce per rappresentare invece la parte più materiale poiché
ostenta un terribile attaccamento alla vita, al suo corpo, a quello
dell'amante e al sesso. Tanti sono gli aspetti sotto i quali
d’Annunzio la presenta, al punto che la donna diventa via via
quasi irriconoscibile rispetto alla creatura calma e dotata di
singolare dolcezza quale era inizialmente apparsa. A tratti
crudelmente puerile, come quando con un fermaglio infilza per le ali
una farfalla crepuscolare, Ippolita finisce per diventare la
“Nemica”, come più volte la definisce Giorgio.
Particolarmente incisiva una delle sue ultime immagini: quando,
durante la sera fatale, da novella Eva offre una pesca da lei morsa
al compagno. Sempre durante quell’ultima sera, in Ippolita la
trasformazione si porta a compimento e lei diventa ormai un essere
voluttuoso e terrificante al tempo stesso, soprattutto quando le sue
risa rompono il silenzio della notte: “Ed ella a un tratto fu
presa da un riso nervoso, frenetico, incoercibile – lugubre
come il riso d’una demente”.
Un
romanzo che non gode della fama del ben più famoso "Il
piacere", ma che merita non di meno una lettura.
Laura
Vargiu
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