Insonnia
- Tahar
Ben Jelloun – La nave di Teseo – Pagg. 272 – ISBN
9788893449366
– Euro 18,00
L’insonnia
uccide
Non
è certo il miglior Tahar Ben Jelloun quello che è
tornato di recente in libreria, ancora una volta accompagnato dalla
casa editrice “La nave di Teseo”, a circa un anno di
distanza dalla pubblicazione de “La punizione”. Stavolta,
la vicenda narrata si presenta del tutto diversa rispetto a quella
autobiografica del romanzo dello scorso anno che ci aveva reso
partecipi di quanto accaduto allo stesso autore quando era studente e
a tanti altri giovani come lui nel Marocco della metà degli
anni Sessanta, sotto il regno di Hassan II.
Anche
“Insonnia” ci riconduce nel Paese maghrebino, dove uno
sceneggiatore di Tangeri combatte, stremato, una lotta ormai
quotidiana contro il suo cronico stato di veglia. Trama, per certi
aspetti, non priva di originalità né di ingredienti
mirati ad alimentare la curiosità del lettore, dal momento che
l’anonimo io narrante protagonista, per riuscire a dormire,
inizia a uccidere periodicamente, cosa che sembra concedere requie
alle sue notti. Pur non essendo un delinquente, e tutt’altro
che un uomo malvagio, cinico o insensibile, si ritrova all’improvviso
dentro una spirale di morte (violenza, in questo caso, non risulta il
termine più appropriato) che sembra creargli dipendenza ai
fini del sonno. Per riposare ha bisogno di uccidere, anche se lui
stesso non si definisce un assassino, ma un “acceleratore di
morte” poiché le sue vittime, uomini e donne, sono per
lo più persone di età avanzata, già moribonde
con un piede nella fossa, al cui capezzale fa di tutto per trovarsi
al momento cruciale dell’ultimo respiro; dà persino
prova di sapersi fermare in tempo quando dubita che l’ora
fatale sia giunta per l’apparente morituro di turno. Inoltre,
come si accorge ben presto, più sono alti il livello sociale e
il prestigio della persona di cui lui accelera il decesso, più
i suoi PCS (punti credito di sonno) aumentano a dismisura
garantendogli mesi, se non anni, di soddisfacente riposo
notturno.
Attraverso
una serie di bizzarre avventure, spesso al limite dell’improbabilità,
Tahar Ben Jelloun ci racconta una storia di cui – secondo il
parere della sottoscritta che pur adora questo grande scrittore –
si sarebbe potuto fare tranquillamente a meno e che, alla fine, non
lascia profonda traccia di sé. Siamo lontani dal livello
qualitativo di romanzi come “Partire”, “Au pays”
e il già citato “La punizione”, per non parlare
del noto “Creatura di sabbia”, giusto per restare
nell’ambito della sola narrativa. Non sono per niente d’accordo
con la critica francese (France Inter) che ha definito questo nuovo
lavoro dell’autore in questione “sorprendente e
incalzante”, presentandolo addirittura come romanzo rivelazione
dell’anno: il ritmo, tutt’altro che incalzante, si perde
in una narrazione non sporadicamente piuttosto lenta, carica di
riflessioni, ricordi e, a tratti, persino farneticazioni dovute
all’insonnia. Del resto, chi ne soffre, in genere, non è
proprio scattante. Anche del Marocco in sé, al contrario di
quanto avviene in altri suoi libri, Ben Jelloun ci consegna poco o
niente, semplicemente uno sfondo incolore che, fatta eccezione per
qualche nome arabo e chiari riferimenti islamici, avrebbe potuto
essere quello offerto da qualsiasi altro luogo.
No,
Tahar Ben Jelloun, che ho imparato ad apprezzare ormai da tempo,
questa volta non entusiasma né convince appieno, capace com’è
di ben altre prove.
Nel
complesso, dunque, una lettura senza troppe pretese, di mero
intrattenimento, buona magari a riempire, perché no, la notte
di chi soffre d’insonnia.
“[…]
La notte è così. Non abdica mai, piena di risorse e di
tormenti. E io non sono in grado di trattare con lei. In fondo,
nessuno ne è capace. Non è assumendo forti sonniferi
che si vince la pa
Laura
Vargiu
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