Madame
Bovary – Gustave Flaubert – Mondadori –
Pagg. XLVIII-423
- ISBN 9788804672296
– Euro 10,50
Un
rovinoso senso di noia
“Una
giovane donna vestita di lana azzurra guarnita di tre volants”,
così appare allo sprovveduto medico di campagna la signorina
relegata ai Bertaux, figlia di uno dei più agiati coltivatori
di quella zona, una giovane donna dalle unghie candide, il cui
biancore lo affascina anche se è rapito subito dallo sguardo
che “colpiva diritto con candida arditezza”. Una
fanciulla costretta a badare ad una fattoria per la prematura
scomparsa della madre, una fanciulla che ha ricevuto una buona
educazione e cha ha recondite aspirazioni: vivere in città,
rifuggire la noia.
Un
giovane medico, di cui sappiamo i trascorsi ingloriosi, bambino
viziato dalla madre, depositario delle di lei ambizioni, privo di
qualsiasi aspirazione, vedovo dopo fugace matrimonio, combinato, con
una donna adulta. Un mediocre.
La
dicotomia fra i personaggi principali del romanzo è imbastita
fin dall’inizio, seppur non nell’ordine da me presentato:
appare prima il dodicenne Charles, in un’ ampia analessi e solo
dopo lei, prima che diventi madame. Le scene del matrimonio arrivano
velocemente e anticipano da un lato quella che sarà la curva
dei capricci della giovane donna e d’altra quell’ombra di
inquietudine che calerà ripetutamente dopo ogni lieto evento a
venire; su tutto già aleggia però la mirabile capacità
di Flaubert di orchestrare i suoi personaggi facendoli muovere in
ampi inserti descrittivi dall’ indiscreto taglio
socioeconomico. Tutto è funzionale a rappresentare il non
essere di Emma.
La
vita a due si avvia con una intima e inevitabile frattura, i due non
condividono niente, non c’è alcuna comunanza di spirito
, tanto lui “ è felice e senza pensiero al mondo e il
suo universo finisce “all’orlo della sottana di lei”,
così lei si cruccia per l’attesa felicità che non
arriva, o almeno non tale a come l’ ha letta nei suoi libri; si
interroga, la donna, nel frattempo su cosa celino in realtà
”parole quali felicità, passione, ebbrezza”. In
lei tutto si risolverà ad avere un andamento ciclico con
picchi di noia, ansia per eventi futuri, illusioni, picchi di
transitoria e impalpabile felicità, seguiti da rovinose
cadute, anticipate da inafferrabili malesseri, distacco emotivo,
risentimenti ingiustificati e su tutti un rovinoso senso di
noia.
L’occasione
di un insperato invito ad un ballo apre l’uscio per un baratro
senza ritorno, un precipitare degli eventi che seppur ricoprenti un
vasto arco temporale sono rappresentanti come un inarrestabile
stillicidio prolungato ad arte dalle atmosfere claustrofobiche che si
respirano nella gretta provincia.
La
frattura tra reale e ideale giunge all’apice, alimentata da un
turbinio di eventi, da un parossistico strafare, dall’incapacità
di vivere, per poi ricadere nel vuoto oblio della morte.
Prototipo
della ricerca di un’inarrivabile felicità idealizzata ,
quella che non esiste.
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