La
notte – Elie Wiesel – Giuntina –
Pagg. 112 – ISBN 9788885943117
– Euro 10,00
Memoria
è sempre, memoria è vita!
Pubblicato
nel 1958, “La notte” è uno di quei libri che
dovremmo leggere non soltanto nel periodo a ridosso della Giornata
della Memoria del 27 gennaio, ma in tutto l'arco dell'anno. Memoria è
sempre, si potrebbe dire parafrasando Primo Levi.
Libri
come questo di Elie Wiesel (1928-2016), premio Nobel per la Pace nel
1986, sono stati scritti proprio a imperitura memoria della tragedia
causata da un male annidato subdolamente tra le pieghe della
mediocrità e, come disse qualcuno, della banalità più
sconcertanti. Un male che, in verità, non è mai stato
debellato e contro il quale il solo antidoto può essere quello
di coltivare la memoria poiché – come ha affermato anche
di recente Tatiana Bucci, un'altra superstite della Shoah –
“memoria è vita”.
Wiesel
era adolescente quando, nel corso del secondo conflitto mondiale,
quel male piombò addosso a lui e alla sua famiglia, così
come a tutti gli ebrei della cittadina transilvana di Sighet.
Dapprima fu il ghetto, poi il lungo e difficile viaggio a bordo di un
convoglio di carri bestiame verso l'ignoto; infine Auschwitz-Birkenau
e Buchenwald. E la notte, pesante, agghiacciante, infinita, calò
sulla vita di uomini, donne e bambini, inermi fuscelli in balia d'un
vento vigliacco e assassino.
“Mai
dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha
fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai
dimenticherò quel fumo.
Mai
dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i
corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai
dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia
Fede.
Mai
dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per
l’eternità il desiderio di vivere.
Mai
dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la
mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai
dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a
vivere quanto Dio stesso. Mai.”
“La
notte” non è un testo che si possa raccontare: non
esistono parole adeguate né sufficienti, neppure scavando nel
profondo del vocabolario del cuore, per descrivere l'orrore di queste
pagine. Occorre leggerle, queste pagine, lasciandosi avviluppare da
paura, freddo, fame, anche se non riusciremo a comprendere mai fino
in fondo il loro significato autentico sullo sfondo di un mattatoio
come quello, dove un figlio può arrivare ad abbandonare il
proprio padre, o a ucciderlo per una briciola di pane, e Dio assume
le sembianze di un bambino agonizzante appeso a una forca.
La
scrittura di Wiesel, lucida, coraggiosa, arida ormai di lacrime, non
risparmia niente al lettore di ciò che viene raccontato, ma di
certo molto ha taciuto. Essere un “eletto di Dio – come
lo definisce lo scrittore François Mauriac nella sua
prefazione – […] nutrito di Talmud, […]
consacrato all'Eterno” non conforta il giovanissimo Elie
dinnanzi a una tragedia come quella dell'Olocausto e la millenaria e
incrollabile fede dei padri sembra volare via, impotente, al pari
delle volute di fumo che escono dai crematori. È la stessa
fiducia nell'uomo che sembra svanire.
Viene
da domandarsi che cosa la Storia, quella Storia, abbia insegnato alla
nostra umanità malata d'onnipotenza se ancora oggi, a distanza
di oltre sette decenni dall'arrivo dei sovietici ad Auschwitz,
qualcuno osa sbefeggiare quel macabro simbolo con t-shirt che non
dovrebbero nemmeno essere mai state pensate o, come ci racconta la
fresca cronaca di questi giorni, su alcune porte si scrive Juden
vigliaccamente. Nemmeno le comitive in pellegrinaggio a Predappio ci
porteranno lontano, né l'intitolare vie nelle nostre città
ai firmatari di manifesti della razza di cui si cerca di riabilitare
la memoria agli occhi della società attuale, tutti sintomi
che, semmai, ci stanno già facendo scivolare negli abissi più
truci di quella Storia che avrebbe dovuto esserci maestra. Ma il
passato insegna sempre, siamo noi pessimi allievi; noi che, nessuno
escluso, tendiamo a ripercorrere strade sbagliate, considerato tutto
quel che è accaduto dal '45 a oggi, reiterando genocidi e
pulizie etniche in giro per il mondo. Dunque, i Wiesel, i Levi, le
Frank e tutti gli altri hanno lasciato invano la propria tragica
testimonianza? Soprattutto in tempi come questi in cui, dati alla
mano, non solo l'antisemitismo è vivo e vegeto, ma
l'intolleranza si estende a macchia d'olio contro diverse categorie a
guisa di capri espiatori, la Giornata della Memoria deve per davvero
cadere ogni giorno dell'anno affinché si levi sempre la voce a
difesa di qualcuno e non si rischi così di assistere a
rastrellamenti lenti e silenziosi nei nuovi ghetti del pregiudizio e
dell'ignoranza. Altrimenti, un giorno, quando verranno infine a
prendere anche noi – per citare un altro testo ben noto –
non resterà nessuno a protestare.
Laura
Vargiu
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