La
ricamatrice di Winchester – Tracy Chevalier –
Neri Pozza – Pagg. 287 – ISBN 9788854519992
– Euro 18,00
“A
volte basta un filo a cambiare la trama”
Che
nascere donna non sia mai stato facile in qualsiasi tempo e luogo è
risaputo. Nemmeno l’Inghilterra ancora dell’epoca
imperiale sembra aver risparmiato niente alle suddite di sua maestà
britannica, alle quali si è continuato a chiedere di scegliere
tra famiglia e lavoro, tra matrimonio e un nubilato maldestramente
etichettato come una sprezzante condanna senz’appello.
Giunta
alla bella età di trentotto anni, Violet Speedwell è
una di quelle donne non sposate a cui la bigotta e ipocrita società
inglese degli anni Trenta del secolo scorso richiede unicamente di
votarsi alla cura dei genitori e di tenere un comportamento
moralmente non riprovevole. Anche lei, al pari di tante, fa parte suo
malgrado del poco invidiato club di “donne in eccedenza”,
come vengono additate le nubili rimaste tali anzitutto a causa della
penuria di giovani uomini imputabile alla grande guerra che si è
conclusa da meno di tre lustri; sui campi di battaglia del vecchio
continente sono caduti anche un fratello e il fidanzato, perdite
incolmabili che bruciano come ferite sempre aperte nella sua
esistenza scandita dalla routine familiare e i ritmi del lavoro da
dattilografa. L’improvviso trasferimento da Southampton a
Winchester da lei richiesto la sottrae, per fortuna, al caratteraccio
di una madre che, più che sostenerla, pare annichilirla,
mentre la nuova città, dove si accosta al mondo delle
ricamatrici legate all’antica Cattedrale, finisce per
affrancarla aprendole nuovi, imprevedibili e insperabili orizzonti.
Dopo lutti e amarezze varie, la vita sorriderà ancora a
Violet? E, soprattutto, Violet saprà sorridere di nuovo alla
vita?
Con
una storia bellissima e intensa che conquista a poco a poco il
lettore, ritorna in libreria Tracy Chevalier, già autrice de
“La ragazza con l’orecchino di perla” (Neri Pozza,
2000), nonché di altri grandi successi internazionali. Anche
quest’ultimo romanzo, grazie alla trama coinvolgente e alla
scrittura resa particolarmente scorrevole dall’abile stile
narrativo, ha tutte le carte in regola per diventare un nuovo
successo letterario di questa autrice nata nel 1962 negli Stati
Uniti, ma trasferitasi in Inghilterra fin dagli anni Ottanta. Tra
queste pagine, infatti, emerge una sensibilità tutta femminile
che si addentra nell’intimo della protagonista, facendone un
ritratto perfetto che mette a nudo sentimenti, emozioni, timori e,
nonostante tutto, il desiderio di amare ed essere amata ancora una
volta. Violet, però, non è l’unica a testimoniare
quanto sia difficile per una donna farsi strada e affrontare una
società che, per quanto civile e “moderna”, si
arrocca in un umiliante e opprimente maschilismo, spesso alimentato,
paradossalmente, dal medesimo gentil sesso.
Se,
da un lato, aveva rivendicato un tempo la propria libertà
sessuale ripiegando tristemente su quelli che chiama gli uomini dello
sherry, la cui compagnia poteva andar bene giusto per una notte,
Violet stessa all’inizio si dimostra a disagio di fronte alla
scoperta della relazione saffica tra due colleghe ricamatrici su cui
gravano maldicenze e riprovazione sociale. Gilda, Dorothy e anche la
non più giovane signorina Louisa Pesel emergono nel corso
della narrazione come figure molto più intelligenti e
autorevoli di qualsiasi uomo, illuminando d’un tratto con una
luce nuova il mondo di Violet. Quello dell’emancipazione
femminile, che passa attraverso la realizzazione professionale e il
coraggio di disporre di se stesse senza condizionamenti né
imposizioni, è il tema intorno al quale ruota
indiscutibilmente questo romanzo che, oltretutto, rivela un prezioso
lavoro di ricerca e documentazione storica, dal momento che la Pesel
e i ricami della Cattedrale di Winchester, come si apprende da una
nota finale, non sono fantasie della penna della Chevalier. E, non a
caso, l’arte del ricamo finisce qui per svestirsi di quella
semplicistica parvenza di passatempo da zitelle (per riprendere
l’impietosa definizione data dalla madre della protagonista),
divenendo ben presto quel qualcosa di cui si ha profondamente bisogno
– come afferma invece il campanaro Arthur – per liberarci
da noi stessi.
“[…]
Violet scoprì che ricamare non era poi così diverso da
battere a macchina, però dava più soddisfazione. Una
volta che ci avevi preso la mano, diventava perfino rilassante e
potevi dimenticare ogni altro pensiero, concentrandoti unicamente su
ciò che avevi davanti. La vita allora si riduceva a una sfilza
di punti blu che s’intrecciavano sul canovaccio, uno sprazzo di
rosso che pian piano diventava un fiore. Invece di redigere documenti
per persone che non avrebbe mai conosciuto, Violet vedeva nascere
sotto le sue dita figure dai colori vivaci. […]”
Così,
fra gli intrecci di quei colori e le meravigliose composizioni dei
cuscini della cattedrale, Violet è capace di far proprio quel
coraggio che è sempre difficile afferrare se non si è
disposti a pagarne il prezzo, scoprendo infine che, talvolta, basta
davvero un filo diverso per cambiare del tutto la misteriosa trama
dell’esistenza.
Laura
Vargiu
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