Il
Conde – Claudio Magris – Il Nuovo Melangolo
– Pagg. 51 – ISBN 9788870182095
– Euro 9,00
Ma
dove va a finire la vita?
Davvero
splendido, per stile e contenuto, questo racconto di Claudio Magris,
pubblicato nel 1993 dalla casa editrice Il melangolo e già
comparso in precedenza con il titolo “Io, pescatore di anime
morte” sul Corriere della Sera. Sebbene il nome dell’autore,
tra quelli dei maggiori intellettuali del nostro tempo, evochi il
fascino di Trieste e di scenari mitteleuropei, questa manciata di
pagine ci catapulta all’improvviso lontano dal corso del
Danubio, lungo quello avventuroso del Tâmega o alla foce del
Douro al cospetto dell’Atlantico, là dove acque di fiume
e di mare si abbracciano e confondono.
“Il
Conde” racconta la vicenda di un barcaiolo portoghese che,
seguendo la corrente dei ricordi al pari di quella del fiume,
ripercorre malinconicamente la propria esistenza, consumatasi a
ripescare cadaveri insieme a quello che tutti chiamano il “conte”,
signore indiscusso dei fiumi; la fama di quest’ultimo si è
sparsa ovunque per terra e per mare, proprio in virtù della
sua lugubre e poco invidiabile, ma necessaria, attività di
pescatore di morti annegati che col tempo gli ha conferito un fascino
misterioso. La conosce a memoria il nostro protagonista, la storia
del Conde, di cui parlano persino i giornali; potrebbe essere anche
la sua, iniziata per mare da ragazzino. In fin dei conti, le storie
intrise d’acqua, quell’acqua così “amara di
perdizione”, finiscono per assomigliarsi un po’ tutte. È
l’acqua stessa che, in verità, sia essa dolce, salata o
magari piovana, è simile dappertutto, facendo divenire le cose
sempre più simili tra esse.
“Ma
sentite come viene giù tutta questa pioggia, […] cosa
volete che a uno importi, con quest’acqua da tutte le parti,
sopra e sotto, dentro la finestra e presto dentro la camicia, che non
si capisce più dov’è il cielo e dove il fiume e
dove il mare, cosa volete che gli importi, non so se mi spiego, se la
gente o i giornali chiamano Conde, già, il Conde del fiume,
lui o un altro?”
Sembrano
ormai ombre loro stessi pescatori di morti, la cui vita si perde
nella silenziosa solitudine dell’acqua, da dove riaffiorano
cadaveri, ma anche sorrisi enigmatici di polene smarrite da chissà
quali antiche navi e innumerevoli ricordi che, continuano a bruciare
come ferite sempre aperte. Li si sente tutti, quei silenzi, quelle
solitudini, gravidi d’amarezza e rassegnazione dinnanzi alla
vita che, impietosa e indifferente, scivola via nell’umido
grigiore di giorni sempre uguali, appena scalfiti dalla dolcezza
dell’amore, mentre la voce stanca del barcaiolo racconta di sé,
del Conde e del loro mestiere misericordioso che dà sempre di
che vivere poiché – verità sacrosanta –
“[…] chi sceglie come sua specialità la morte non
corre il rischio di restare disoccupato”.
“Sì,
conosciamo tutti la sua storia, le centinaia che, in più di
quarant’anni, ha ripescato un po’ da tutte le parti, nel
Douro e negli altri fiumi […] o nel mare, guardandosi intorno
come un falco o tastando il fondo con la stanga uncinata, perché
qualche volta si impigliano a chissà cosa e restano sotto e
lui paziente per ore e ore finché non li scopre e afferra nel
modo giusto, attento a non spingerli che non scivolino via per sempre
[…]. A lui è sempre piaciuto quando galleggiavano gonfi
da scoppiare o magari mangiati dai granchi, pronti per essere
acciuffati e messi su. […] e allora è una notte buona
per il suo, per il nostro lavoro, c’è tanta gente da
andare a ripescare per seppellirla in terra benedetta […].”
Un
lento monologo che fin dalle prime righe, grazie alla splendida prosa
di Magris, conquista e seduce. Una piccola, sorprendente storia che
profuma di vento e salsedine, carica di rimpianti e orizzonti che non
si è avuto il coraggio di scorgere, nella quale non si fatica
a riconoscere il peso di quell’ineludibile dolore che scandisce
l’umano vivere. Una grande prova di scrittura, questa
dell’autore triestino, che dona una lettura che fa male e resta
dentro. Da leggere!
Laura
Vargiu
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