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  Letteratura  »  Il trittico su Ezzelino da Romano e i suoi discendenti, di Renzo Montagnoli 03/05/2020
 
Il trittico su Ezzelino da Romano e i suoi discendenti

di Renzo Montagnoli



In questi giorni di forzata clausura, complice anche un tempo non proprio generoso che mi impedisce di effettuare i lavori dell’orto, ho pensato di rileggere alcuni libri, ovviamente quelli che a suo tempo mi hanno più impressionato. Così ho posto mano, e occhi, al trittico su Ezzelino da Romano e i suoi discendenti, tre volumi di estremo interesse e veramente molto belli scritti a suo tempo da un romanziere, che è ancor prima storico, e che risponde al nome di Marco Salvador. Per quanto corposi e nonostante l’ottica di fermarsi di tanto in tanto su qualche punto, o per fare una riflessione autonoma, o per esser parte di quella del protagonista del libro, purtroppo ho esaurito la lettura in un tempo abbastanza breve, e quel purtroppo esprime il mio rammarco per essermi dovuto separare troppo presto da personaggi e vicende affascinanti e che l’abilità dell’autore ha reso ancor più avvincenti.

Il primo, in ordine cronologico, è La palude degli eroi, in cui si narra, procedendo secondo i quadri di una pala d’altare, dell’ultimo periodo della vita di Ezzelino da Romano e delle peripezie del suo figlio naturale Guido. L’impatto del lettore con questa vicenda in cui si fondono mirabilmente guerre fra papato e impero, atroci vendette, amicizie fraterne, odi irriducibili, amori, rimorsi e pentimenti è uno di quelli che lascia il segno e che provoca l’inevitabile desiderio di leggere anche gli altri due. Non amo tessere lodi sperticate, ma qui l’autore della celebre serie sui Longobardi si supera per capacità di disegnare una trama secondo un ritmo che non viene mai a calare, se non in rari casi e quando ciò appare indispensabile. Sembra di assistere a un film su una vicenda medievale (l’epoca è il XIII secolo) e si è portati, condotti per mano dall’autore, a instaurare un rapporto affettivo con Guido da Romano, che sfugge miracolosamente, ma non senza danni, alla vendetta dei nobili vittoriosi su Ezzelino e sul fratello Alberico e la sua numerosa famiglia. Salvador è meticoloso, ma non pedante nel narrare, e cerca fra l’altro di trasmettere l’atmosfera dell’epoca curando anche particolari che possono apparire trascurabili, come l’abbigliamento, ma soprattutto ricorrendo alla discrasia fra religione e superstizione, alla continua ossessione della morte, che di fatto è imperante, vuoi per le guerre che per le malattie e per le carestie, e che si riassume a volte in una danza macabra, in cui le frequenti condanne a morte hanno caratteristiche di bestiale e tremendo supplizio, come se gli esecutori ritraessero dal dolore e dal terrore dei condannati nuova linfa per proseguire una vita di conquiste, di sconfitte, di alleanze, di tradimenti, insomma una specie di inferno in terra. Ezzelino da Romano, detto il Terribile, che la storia ricorda per le sue efferatezze non era in effetti più crudele dei suoi avversari, ma come poi si instaurerà una damnatio memoriae per il pontefice Alessandro VI, papa Borgia, accusato dei più orrendi delitti senza essere peggiore de i suoi accusatori, anche nel caso del nostro personaggio, di parte imperiale, i motivi per dipingerlo così feroce erano più politici, nell’eterna lotta fra ghibellini e guelfi. In effetti Salvador, senza assolvere Ezzelino, nemmeno lo condanna, consapevole che i personaggi storici, quanto più grandi sono, tanto sono più temuti e invidiati, e molto più spesso odiati. Di altro genere invece é la simpatia che l’autore mostra per Guido, combattutto a lungo fra il desiderio di vendetta e l’aspirazione a una vita serena, sentimenti entrambi ben delineati, perché l’erede di Ezzelino non è uguale al padre, ha almeno innato un senso di pietà che dimostrerà in occasione dell’esecuzione di una sentenza contro famiglie trevigiane ribelli, concedendo clemenza almeno alle donne. Personaggi di vario genere si succedono nella trama, che è frutto di un racconto che Guido fa della sua vita e che intende lasciare ai figli; poi, sopraggiunta la vecchiaia, ritrovata la serenità, gli acciacchi si manifestano e il racconto cessa, per essere ripreso in poche pagine dai figli che portano a nostra conoscenza l’avvenuta morte del padre. Sono poche ispirate pagine che finiscono per commuovere, ma il lettore è preso, più che da una tristezza, da una malinconia per la consapevolezza che non avrà più il piacere di leggere di questo straordinario protagonista.

Il sapere però che ci sono ancora pagine che parleranno degli eredi di Ezzelino stempera il cielo cupo che sembrava essersi addensato sul nostro capo; e infatti già si trova il secondo romanzo, L’erede degli dei, in cui si parla del pronipote di Ezzelino, Corrado da Romano, ed è la genesi di un cavaliere, dagli inizi quando è ancora fanciullo fino alla sua investitura; dopo non ci saranno che battaglie, disgrazie, per raggiungere, in età avanzata e dopo tante tribolazioni, un’autentica pace interiore. Tutta la storia appare come un lungo affresco, tale da coprire la parete di una grande stanza, il cui pittore non è il Leonardo della battaglia di Anghiari, ma quel Marco Salvador che ha fatto fremere i nostri cuori con La palude degli eroi. Ambientato nel XIV secolo, noi mantovani ritroviamo anche la nostra città, quando i Gonzaga non erano ancora i Signori di una corte che diventerà fra le più note d’Europa, ma si apprestavano a iniziare la scalata al potere con la cacciata della famiglia dominante, i Bonacolsi, e grazie all’aiuto, non disinteressato, di Cangrande della Scala rappresentato dal suo consigliere Corrado da Romano. Anche in questo romanzo le vicende sono tante, come tanti appaiono i personaggi, ma sono talmente ben delineati che non solo è difficile confonderli, ma addirittura si imprimono bene nella memoria. Le pagine scorrono veloci, le parole si trasformano in immagini, si è presenti come spettatori attoniti, anche se il desiderio sarebbe di essere partecipi, Corrado da Romano non è solo un nome, è un uomo che si desidererebbe aver conosciuto e questo è esclusivo merito dell’autore.

Già finito? No, per fortuna, perché c’è il terzo e ultimo libro, in un’epoca più avanti e abbraccia un periodo di circa un 150 anni, fino agli inizi del XVI secolo, cioè fino alla caduta del Patriarcato di Aquileia e l’asservimento alla Serenissima. In pratica nelle storie di Guido e di Nicolò, figli di Corrado, generato da altro Corrado, a sua volta figlio di Alberico, ultimo discendente di Ezzelino da Romano, si raccoglie un arco di tempo piuttosto lungo, con le convulse vicende della Patria, di quelle terre friulane contese da Impero e Serenissima, pronti ad alimentare, per i propri interessi, le numerose faide che contrappongono i potenti di quello che un tempo fu uno stato forte, il Patriarcato di Aquileia. E’ un periodo convulso, di continue lotte intestine, dove la rettitudine e la coerenza è di pochi, perché di tutti i sentieri che si percorrono il più arduo, quello che impone più sacrifici, è quello dell’onore e non è un caso se l’ultimo volume della triloigia è intitolato Il sentiero dell’onore. Che si tratti di Guido o di Nicolò poco importa, e non è tanto perché sono i semi generati da Ezzelino da Romano, bensì perché sono stati allevati nel rispetto per se stessi, che consiste prima di tutto nell'obbligo non solo di non venir mai meno alla parola data, ma di perseguire senza cedimenti quegli ideali di giustizia che da soli possono giustificare un'esistenza e anche la sua fine. Sono due anime pure, due personaggi che scivolano sul marciume di un’epoca senza esserne contaminati, grandi nel perseverare quegli ideali di giustizia che solo anime autenticamente nobili possono avere e conservare in un periodo di sfacelo continuo. Non riusciranno a porre rimedio, ma indicheranno la strada giusta per una futura non impossibile redenzione.

Ecco, il trittico si chiude qui, nella consapevolezza che non avrà seguito; infatti Salvador ha scritto poi solo dello splendore nell’Italia meridionale del principato Longobardo di Salerno e Benevento con Il trono d’oro, di una vicenda giudiziaria per sodomia nella Venezia del XIV secolo con Processo a Rolandina e dell’origine della sua famiglia, in pratica i suoi avi, emigrati da Firenze a Venezia agli inizi del ‘300 con Una saga veneziana. Si tratta di tre libri molto belli, assai piacevoli da leggere, a cui spererei, almeno per l’ultimo, che l’autore facesse seguito con altri, perché secondo me c’è ancora spazio temporale per parlare dei suoi avi. Invece non c’è più possibilità di scrivere dei Da Romano, il che mi rammarica, ma mi consola il fatto che resta sempre l’opportunità, come mi è capitato ora, di rileggere i tre volumi, ritrovando sempre il grande piacere provato la prima volta.

 
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