I
ragazzi del ciliegio. 1918-1945 -
Fiorella Borin – Solfanelli – Pagg. 320 –
ISBN 978-88-3305-117-8 – Euro 20,00
Quando
ho concluso la lettura del libro I
ragazzi del ciliegio,
di Fiorella
Borin,
ho sentito in me quasi un senso di smarrimento, qualcosa di così
profondo che ti lacera dentro.
Sembra quasi impossibile pensare
che l’uomo, nel periodo storico in cui il romanzo è
ambientato, possa aver fatto così tanto male, sia potuto
arrivare così giù, nell’abisso più
profondo. E invece è stato possibile
Mi veniva difficile,
in quel momento di sincera sofferenza, provare a raccontare, in
sintesi, la storia che Fiorella Borin ci ha fatto invece conoscere
con tanta bravura. Ho tuttavia voluto provarci.
E’ una
storia avvincente, tanto bella quanto tragica.
Nella sua prima
parte è il racconto appassionato di un’amicizia, quella
vera, nata tra alcuni ragazzi veneti che all’inizio incontriamo
quando sono ancora poco più che bambini. Un gruppetto di amici
che spesso si danno appuntamento sotto un ciliegio. Da questo
particolare trae spunto il titolo del libro. E’ bellissima, tra
l’altro, la copertina, un dipinto in cui sembra, e non è
un caso, che il ciliegio, e i ragazzi con lui, debbano precipitare in
un abisso.
La storia incomincia nel 1918, prosegue nel 1919, e
poi ancora nel 1920. E nel frattempo i ragazzi crescono. Hanno nomi
belli, si chiamano Giorgio, Girolamo, Ettore. Sembra di vederli e di
conoscerli nelle loro caratteristiche fisiche, ma anche nei tratti
fondamentali dei loro caratteri. Ettore, alto e massiccio, di qualche
anno più grande, la scuola non è mai stata il suo
forte, con i suoi lunghi silenzi, ma anche con uno straordinario
talento per il disegno, Giorgio, col suo temperamento gioviale e
accogliente, bravissimo negli studi, Girolamo, dal carattere mite…
Ognuno diverso dall’altro, ma uniti da un’amicizia che
durerà per tutta la vita, e forse anche oltre. E poi c’è
Gilberto, il fratello di Giorgio, e Mario, carissimo amico e compagno
di scuola di Giorgio al liceo Tito Livio di Padova, Ernesto, il
fratello di Ettore, e Vincenzo, il loro cugino, entrambi catturati
dalla bellezza della musica. E tutti sembrano guardare al futuro con
fiducia.
Si arriva all’ottobre del 1922, e spesso, sui
giornali, si parla di Mussolini. Anche agli amici capita, come se
fossero già adulti, di parlarne tra di loro. Giorgio si mostra
piuttosto insofferente fin dall’inizio, sa guardare un po’
più lontano… Il tempo passa, i ragazzi crescono, alcuni
di loro completano gli studi secondari.
Giorgio e Mario
proseguiranno gli studi fino all’università, Girolamo
diventerà ragioniere. Ettore andrà a Venezia a
frequentare l’Accademia di Belle Arti, inseguendo un sogno. Per
lui e per Girolamo, tutto questo sarà possibile grazie alla
generosità di due benefattori: i genitori del loro amico
Giorgio.
Ed eccoli i genitori di Giorgio. La mamma, chiamata
dagli amici “la professoressa”, il padre sarà
invece per tutti “il dottore”.
Due personaggi che
fin dalle prime pagine si impara ad amare.
Lei, pianista e
violinista, che per amore ha abbandonato una carriera probabilmente
molto soddisfacente, continuerà a suonare per il marito e i
figli il violino e il pianoforte, lui, medico, innamorato come pochi
della sua compagna di una vita.
Ma si avvicinano gli anni della
seconda guerra mondiale, e con loro un enorme carico di dolore: la
chiamata alle armi di tantissimi ragazzi, poco più che
bambini, la famigerata campagna di Russia, la devastante
ritirata…
Sembra impossibile descrivere l’orrore di
quegli anni, eppure Fiorella Borin l’ha fatto in modo egregio.
E chissà quanta sofferenza nel raccontare questa storia, che
senza ombra di dubbio l’ha coinvolta profondamente.
Il
tempo dei sogni giovanili per “i ragazzi del ciliegio”,
si è ormai concluso. Davanti a loro una guerra difficile da
capire. Ettore partirà come volontario per l’Africa, in
seguito ad una grande delusione, Giorgio per la Russia, e insieme a
lui tantissimi ragazzi ancora più giovani, moltissimi
ventenni, strappati ai sogni e alle famiglie. Incontrerà anche
alcuni volti conosciuti, Ernesto e Vincenzo, e saranno brevi momenti
di sollievo e condivisione. Quante piccole ma importanti storie si
intrecceranno in quegli anni! Piccole storie che andranno a formare
un grande mosaico, risucchiate dentro la grande terribile storia
della ritirata dei soldati italiani, che non avevano chiesto di
combattere una guerra mai capita.
Altri personaggi, nel
magnifico racconto di Fiorella Borin, alcuni rimarranno impressi a
lungo nella nostra memoria di lettori. Sara, Carla, il capitano
Morelli, l’attendente Candido Mosca, i vecchi incontrati nelle
isbe, le diverse donne ucraine, spesso vecchie, che accoglievano i
poveri soldati italiani magari per una notte, offrendo loro quel poco
che avevano; e poi le giovanissime ragazze ucraine, portate vie senza
nessun riguardo strappandole alla famiglia. E Mariella, Giovanni da
Chieti…
E ci sono anche i ricordi… Il diario di
Giorgio, i suoi appunti accurati e dolorosi, per non dimenticare, per
far conoscere che cosa è stata la Campagna di Russia, Perché
nessuno dica che non è successo niente. E sarà sempre
Giorgio a chiedere ai suoi soldati di scrivere le proprie memorie.
Ed
eccoli i ricordi di Ernesto, di Vincenzo, e di altri. Fanno tenerezza
quei loro scritti messi giù come potevano, ragazzi di poca
istruzione ma con un cuore grande, così affezionati al “loro”
capitano.
In questo libro straordinario ci sono anche le
lettere. Quelle di Giorgio, di Girolamo, di Ettore, scritte ma poche
volte arrivate a destinazione, e quelle di Emma, sua sorella,
fanatica simpatizzante, fin da giovanissima, di Mussolini e di
Hitler.
Quanto ancora, spinta da un grande interesse per questo
libro, mi verrebbe da raccontare, ma mi accorgo di essere andata fin
troppo avanti nelle mie osservazioni. Mi fermo qui, con la speranza
tuttavia di aver suscitato, in chi leggerà questa mia Nota, un
po’ di curiosità e il desiderio di avvicinarsi a un
libro così denso e così bello.
Un libro che merita
di essere non solo letto, spero da tante persone, ma diffuso
soprattutto nelle scuole, escludendo forse la primaria, per via
dell’età dei bambini che la frequentano.
Io
personalmente ringrazio Fiorella per averlo scritto, sono state
davvero tante le riflessioni scaturite da questa lettura.
***
Il
brano che segue è tratto da una lettera scritta da Giorgio a
sua figlia.
“Rileggendo
i miei appunti, molte volte il pensiero è andato a tutte
quelle donne ucraine, giovani e vecchie, ma tutte infinitamente buone
e pietose, che hanno creduto di vedere nei soldati italiani
abbandonati lungo le dolorose strade di una tragica ritirata
invernale, il loro fratello, il loro fidanzato, il loro sposo, il
loro figlio. Tanti dei nostri soldati, sfiniti di stanchezza o
feriti, e amorosamente portati nelle povere ma tiepide isbe, nutriti
con quel poco che era stato possibile salvare dalle razzie tedesche,
potranno testimoniare un giorno dell’animo infinitamente buono
e dell’eroismo delle donne ucraine che nella loro pietosa opera
di bene hanno sfidato le ire della polizia ucraino-collaboratrice e
delle famigerate SS tedesche. E i racconti di questi soldati,
strappati miracolosamente alla morte da quelle persone che essi erano
stati mandati a combattere, costituiranno un inno a quella bontà
che è al di sopra di ogni risentimento e di ogni partito; a
quella bontà fatta di grande amore e di infinità
onestà.”
Piera
Maria Chessa
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