Thérèse
Raquin – Emile Zola – Mondadori –
Pagg. 271 – ISBN 9788804700531
– Euro 9,50
Il
lato oscuro del cuore umano
Quando
“Thérèse Raquin” fece la sua comparsa nelle
librerie francesi sul finire del 1867, negli ambienti letterari si
gridò subito allo scandalo. Tra i critici, ci fu persino chi,
oltre a bollarlo senz’appello come scabroso e indecente, non
risparmiò a questo romanzo poco cortesi paragoni con la fogna
e la pornografia. Fu lo stesso Émile Zola (1840-1902) a
sottolineare una simile accoglienza nella sua prefazione alla seconda
edizione del libro, uscita nella primavera dell’anno
successivo, puntando il dito contro l’ipocrisia benpensante del
tempo e precisando quale fosse stato il suo intento: studiare la
natura umana, sotto l’aspetto sia psicologico che fisiologico,
senza preoccuparsi di curare eventuali sconcezze. La scelta di
personaggi dominati dai nervi e trascinati da una carnalità
fatale – come dichiarò l’autore – lo colloca
nell’ambito di un naturalismo ribadito con forza dalla stesura
di tante altre opere successive a questa. Il suo realismo, con cui
sottopone ad accurata osservazione persone e ambienti sociali,
risulta tanto schietto quanto impietoso e allarga ferite spesso già
purulente.
Quella
di “Thérèse Raquin” è la storia di
un tradimento; la trama è in apparenza semplice (lei, lui,
l’altro), ma dagli sviluppi però complessi e devastanti
che danno vita a pagine intense in cui si riconosce la genuina
maestria e il fascino della penna dei grandi narratori
dell’Ottocento.
Come
la più famosa Emma Bovary una decina d’anni prima, anche
la Raquin attraverso l’adulterio tenta di sottrarsi a qualcosa,
nello specifico a un ambiente familiare simile a una sorta di
prigione per lei che ha sempre obbedito senza mai opporsi alle
decisioni della zia, la merciaia madame Raquin. A differenza del
personaggio di Flaubert, però, quello di Zola non sembra
essere mosso dalla brama di lussi né da deliri o capricci
romantici in netto stridore con la monotonia della vita di provincia.
Cresciuta accanto al sempre malaticcio cugino Camille, a causa
dell’educazione che le è stata impartita, Thérèse
ha represso un’indole nervosa e una vitalità che ardono
sotto la cenere di un silenzio apatico e pesante, troppo pesante per
una ragazza dall’agilità felina e in preda a una voglia
selvaggia di correre e urlare.
“Sa
tante lui avait répété si souvent: «Ne
fais pas de bruit, reste tranquille», qu’elle tenait
soigneusement cachées, au fond d’elle, toutes les fogues
de sa nature. Elle possédait un sang-froid suprême, une
apparente tranquillité qui cachait des emportements
terribles.” *
Il
matrimonio con Camille è stato voluto dalla zia, mossa dalla
premura di lasciare un giorno il gracile figliolo alle cure di una
fidata moglie-infermiera; pertanto, il tradimento di Thérèse
viene commesso sia nei confronti di quel marito insulso e
sessualmente poco appetibile, che puzzava di malattia e abbracciava
in modo pressoché identico la madre e la cugina, sia verso
l’anziana madame Raquin, che da “ses enfants” conta
addirittura di avere nipoti. L’adulterio al centro della
narrazione ha così per la giovane donna il sapore di una sorta
di riscatto dalla vita grama fin lì condotta, mentre la pura
casualità le offre come amante il vigoroso Laurent,
impiegatuccio e artista fallito, nonché conoscenza di lunga
data di Camille. Con le sue aspirazioni da parassita, l’uomo
mira a divenire, al tempo stesso, amante della moglie, amico del
marito tradito e, cosa non trascurabile per uno scapolo costretto ad
accontentarsi d’insufficienti pasti da quattro soldi, quasi un
secondo figlio oggetto di amorevoli cure da parte della vecchia
madre. Casa Raquin, dunque, come rifugio ideale per evitare la noia
di serate altrimenti solitarie e appagare appetiti sessuali senza
dover ricorrere ad amanti costose; seppure non bella, come viene
percepita all’inizio, Thérese appare inoffensiva e
dotata di carattere remissivo. Tuttavia, gli ingenui progetti del
seduttore non hanno fatto i conti con l’impeto erotico di una
donna che avrebbe finito per renderlo ebbro e dipendente da una
carnalità che di colpo sulla scena irrompe inaspettata,
potente, destabilizzante. E a quel punto la vedovanza di lei sarebbe
stata considerata, da entrambi, di gran lunga preferibile a qualsiasi
ripiego clandestino. La sorte di Camille, in verità, risulta
segnata fin dal primo brutale contatto tra i due.
“[…]
A partir de ce jour, Thérese entra dans sa vie. Il ne
l’acceptait pas encore, mais il la subissait. Il avait des
heures d’effroi, des moments de prudence, et, en somme, cette
liaison le secouait désagréablement; mais ses peurs,
ses malaises tombaient devant ses désirs. Les rendez-vous se
suivirent, se multiplièrent.
Thérese
n’avait pas de ces doutes. Elle se livrait sans ménagements,
allant droit où la poussait sa passion. Cette femme, que les
circonstances avaient pliée et qui se redressait enfin,
mettait à nu son être entier, expliquant sa vie.
[…]”
Non
stupiscono le dettagliate descrizioni per quanto riguarda le reazioni
fisiche e mentali dei due amanti, soprattutto quando il tumultuoso
orgasmo della loro passione s’è ormai concluso dopo aver
raggiunto il culmine con l’assassinio di Camille durante una
gita domenicale lungo la Senna. L’annegato, infatti, non li
abbandonerà più e, paradossalmente, resterà in
mezzo a loro più da morto che da vivo. Da allora, le notti
insonni, le crisi di terrore, le allucinazioni, le reciproche
recriminazioni, i litigi furibondi con tanto di percosse ai danni di
Thérèse rendono il nuovo ménage, un tempo così
agognato, soltanto uno squallido inferno dal quale non esiste
possibilità di fuga, sotto lo sguardo muto e implacabile della
vecchia madame Raquin, divenuta nel frattempo paralitica, e sullo
sfondo di una Parigi fin dal principio lugubre e tetra che, ben
lontana dai celebrati fasti di Ville Lumière, sembra farsi
essa stessa una enorme e ineludibile Morgue che inghiotte
tutti.
Quella
di Zola si rivela una prosa sapiente e geniale, godibilissima anche
in lingua originale, che riesce a catturare il lettore d’ogni
tempo. Fin dal primo capitolo, non a caso, essa trasmette un senso di
vaga inquietudine che emerge non soltanto dalla minuziosa descrizione
di quello che farà da sfondo alla terribile vicenda narrata,
il passaggio del Pont-Neuf con le sue “boutiques obscures”,
ma anche dall’immagine stessa della protagonista, ferma alla
finestra e assorta a fissare in silenzio il grande muro nero sopra la
galleria, prima di mettersi a letto nella più sdegnosa e
sinistra indifferenza.
Leggendo
“Thérèse Raquin”, ci si accorgerà
che non si tratta di un romanzo osceno, come qualcuno insinuò
all’uscita del romanzo; al di là dell’adulterio e
dell’omicidio, la complessità delle sue pagine lo rende
anzitutto un viaggio nel male, in quel lato oscuro del cuore umano,
al quale il finale inatteso e repentino può concedere forse
pietà, ma non redenzione.
*
Le citazioni sono tratte da Émile Zola, “Thérese
Raquin”, préface de Robert Abirached, Gallimard, 1999.
Laura
Vargiu
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