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  Letteratura  »  Invito a una decapitazione, di Vladimir Nabokov, edito da Adelphi e recensito da Siti 09/12/2020
 
Invito a una decapitazione – Vladimir Nabokov – Adelphi – Pagg. 222 – ISBN 9788845918476 – Euro 18,00



Non luogo a procedere



Già il titolo è stridente e al tempo stesso catalizzatore, contiene in sé l’assurdo di una situazione inaudita come quella tipica di un perfetto ossimoro. Tutto il romanzo in realtà lo è. Accostato a più riprese alla produzione di Kafka, in particolare ai romanzi “ Il castello”e “Il processo”, è lo stesso Nabokov invece a chiarire che la produzione del praghese gli era del tutto sconosciuta quando nel 1935, a Berlino, dove si era rifugiato per fuggire dal regime bolscevico, scrisse questo romanzo. Pertanto va goduto nella sua assoluta indipendenza letteraria. E se un rimando lo si volesse fare sarebbe certo a il romanzo” Il dono”, lasciato a metà nella scrittura per l’urgente bisogno di partorire questo. Non avendolo letto non posso azzardare di più, al limite consigliare ai futuri lettori di procedere in senso inverso, rispetto al mio, nella lettura dei due.

Altra possibilità interpretativa, rifiutata dall’autore, è quella di leggere l’opera come una grande metafora dei regimi bolscevico e nazista, assolutamente fuor di comparazione alcuna.

Per stare al suo contenuto, esso ci presenta la vita sconvolta di Cincinnatus, che senza apparente motivo è condannato a morte e portato in una fortezza per quella che parrebbe essere un’esecuzione imminente. In realtà l‘ex docente, condannato a morte immediata, giunto a destinazione, inizierà una nuova vita, insperata, ma purtroppo all’insegna della più assoluta procrastinazione né cercata e tanto meno voluta e subita come una pena ancor maggiore della sua effettiva colpa. Una nuova condanna insomma che lo misura fin da subito con situazioni atipiche e del tutto surreali la cui galleria è una piacevole sorpresa per il lettore. Ci si ritrova in una continua ottica rovesciata che modifica ogni parametro valutativo nel lettore appunto ma anche nel personaggio, vittima di un’assurda condanna, la cui colpa è essere opaco. “Accusato del più spaventoso dei crimini, la turpitudine gnostica così rara e indicibile da rendere necessario il ricorso a circonlocuzioni quali “impenetrabilità”, “opacità”, condannato per quel crimine alla decapitazione …”. In realtà, a ben vedere, la stessa sostanza fisica, materiale, reale del condannato è messa in discussione fin da subito, giunto nella fortezza. La prima notte va a letto dopo essersi scomposto nelle singole parti che costituiscono il corpo ma l’abilità di Nabokov pare quasi far passare in secondo piano questo carattere magico, irreale, trascendente, perché focalizza l’attenzione sul processo mentale dello stesso Cincinnatus e sul valore tangibile e concreto che ha la sua percezione della realtà. Chiaro è fin da subito al protagonista che la galleria di persone che gli si avvicenderà con l’intento di prendesi cura di lui : il direttore del carcere, Rodrig Ivanovic, che assume il ruolo di un direttore d’albergo, Rodion, il carceriere zelante, l’avvocato, un’inutile macchietta, sono solo degli “spettri”, dei “lupi mannari”, delle “parodie” a cui lui ubbidirà. Ciò che gli preme in fin dei conti, ribadito in modo parossistico fino alla fine, è conoscere i termini temporali della condanna. In tali continui ribaltamenti del piano della realtà con quello della finzione, elevata a farsa e a parodia, assurgono a diritto di reale solo i vividi pensieri del carcerato. Eppure essi sono strettamente collegati alle singole manifestazioni del reale: le pareti della cella, il suo pavimento, la branda, la sedia, il tavolo, i libri sopra e fuori la città che prepotentemente si affaccia nel ricordo insieme ai miseri scampoli della sua esistenza. “ Erano queste le cose che Cincinnatus vedeva e sentiva attraverso i muri, mentre l’orologio batteva le ore, anche se, in effetti, tutto in quella città era sempre morto e orribile a confronto della vita segreta di Cincinnatus e della sua colpevole fiamma, anche se egli sapeva perfettamente ciò, e sapeva anche che non c’è speranza, pure, in quel momento, desiderava ancora, con tutte le sue forze, di trovarsi in quelle luminose strade così familiari … ma poi cessarono i rintocchi dell’orologio, il cielo immaginario si rannuvolò e la prigione tornò in vigore.” La prigione, appunto, in sé, quasi un’entità dotata di vita autonoma, luogo di reclusione ma anche spazio fisico incredibilmente aperto capace di permettere incursioni verso gli altri suoi spazi e anche al suo esterno, ma attenzione in tale assurdità non si prefigura mai la possibilità di un’evasione, per quella occorrerà attendere un luogo altro, un evento altro, un’altra possibilità … Buona lettura!


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