Invito
a una decapitazione – Vladimir Nabokov –
Adelphi – Pagg. 222 – ISBN 9788845918476
– Euro 18,00
Non
luogo a procedere
Già
il titolo è stridente e al tempo stesso catalizzatore,
contiene in sé l’assurdo di una situazione inaudita come
quella tipica di un perfetto ossimoro. Tutto il romanzo in realtà
lo è. Accostato a più riprese alla produzione di Kafka,
in particolare ai romanzi “ Il castello”e “Il
processo”, è lo stesso Nabokov invece a chiarire che la
produzione del praghese gli era del tutto sconosciuta quando nel
1935, a Berlino, dove si era rifugiato per fuggire dal regime
bolscevico, scrisse questo romanzo. Pertanto va goduto nella sua
assoluta indipendenza letteraria. E se un rimando lo si volesse fare
sarebbe certo a il romanzo” Il dono”, lasciato a metà
nella scrittura per l’urgente bisogno di partorire questo. Non
avendolo letto non posso azzardare di più, al limite
consigliare ai futuri lettori di procedere in senso inverso, rispetto
al mio, nella lettura dei due.
Altra
possibilità interpretativa, rifiutata dall’autore, è
quella di leggere l’opera come una grande metafora dei regimi
bolscevico e nazista, assolutamente fuor di comparazione alcuna.
Per
stare al suo contenuto, esso ci presenta la vita sconvolta di
Cincinnatus, che senza apparente motivo è condannato a morte e
portato in una fortezza per quella che parrebbe essere un’esecuzione
imminente. In realtà l‘ex docente, condannato a morte
immediata, giunto a destinazione, inizierà una nuova vita,
insperata, ma purtroppo all’insegna della più assoluta
procrastinazione né cercata e tanto meno voluta e subita come
una pena ancor maggiore della sua effettiva colpa. Una nuova condanna
insomma che lo misura fin da subito con situazioni atipiche e del
tutto surreali la cui galleria è una piacevole sorpresa per il
lettore. Ci si ritrova in una continua ottica rovesciata che modifica
ogni parametro valutativo nel lettore appunto ma anche nel
personaggio, vittima di un’assurda condanna, la cui colpa è
essere opaco. “Accusato del più spaventoso dei crimini,
la turpitudine gnostica così rara e indicibile da rendere
necessario il ricorso a circonlocuzioni quali “impenetrabilità”,
“opacità”, condannato per quel crimine alla
decapitazione …”. In realtà, a ben vedere, la
stessa sostanza fisica, materiale, reale del condannato è
messa in discussione fin da subito, giunto nella fortezza. La prima
notte va a letto dopo essersi scomposto nelle singole parti che
costituiscono il corpo ma l’abilità di Nabokov pare
quasi far passare in secondo piano questo carattere magico, irreale,
trascendente, perché focalizza l’attenzione sul processo
mentale dello stesso Cincinnatus e sul valore tangibile e concreto
che ha la sua percezione della realtà. Chiaro è fin da
subito al protagonista che la galleria di persone che gli si
avvicenderà con l’intento di prendesi cura di lui : il
direttore del carcere, Rodrig Ivanovic, che assume il ruolo di un
direttore d’albergo, Rodion, il carceriere zelante, l’avvocato,
un’inutile macchietta, sono solo degli “spettri”,
dei “lupi mannari”, delle “parodie” a cui lui
ubbidirà. Ciò che gli preme in fin dei conti, ribadito
in modo parossistico fino alla fine, è conoscere i termini
temporali della condanna. In tali continui ribaltamenti del piano
della realtà con quello della finzione, elevata a farsa e a
parodia, assurgono a diritto di reale solo i vividi pensieri del
carcerato. Eppure essi sono strettamente collegati alle singole
manifestazioni del reale: le pareti della cella, il suo pavimento, la
branda, la sedia, il tavolo, i libri sopra e fuori la città
che prepotentemente si affaccia nel ricordo insieme ai miseri
scampoli della sua esistenza. “ Erano queste le cose che
Cincinnatus vedeva e sentiva attraverso i muri, mentre l’orologio
batteva le ore, anche se, in effetti, tutto in quella città
era sempre morto e orribile a confronto della vita segreta di
Cincinnatus e della sua colpevole fiamma, anche se egli sapeva
perfettamente ciò, e sapeva anche che non c’è
speranza, pure, in quel momento, desiderava ancora, con tutte le sue
forze, di trovarsi in quelle luminose strade così familiari …
ma poi cessarono i rintocchi dell’orologio, il cielo
immaginario si rannuvolò e la prigione tornò in
vigore.” La prigione, appunto, in sé, quasi un’entità
dotata di vita autonoma, luogo di reclusione ma anche spazio fisico
incredibilmente aperto capace di permettere incursioni verso gli
altri suoi spazi e anche al suo esterno, ma attenzione in tale
assurdità non si prefigura mai la possibilità di
un’evasione, per quella occorrerà attendere un luogo
altro, un evento altro, un’altra possibilità …
Buona lettura!
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