La
macchia umana – Philip Roth – Einaudi –
Pagg. 395 – ISBN 9788806222949
– Prezzo Euro 13,50
Scemi
di guerra
L’opera
di Philip Roth, me ne convinco sempre più, è un unico
grande disegno, una sorta di canovaccio che l’autore ha scritto
nel tempo, ampliando la sua visione della vita ma sempre dentro
alcuni temi ben definiti, i punti focali della sua esistenza.
L’appartenenza etnica, l’appartenenza culturale,
l’appartenenza geografica, quella sociale, e la totale,
assoluta, mancanza di appartenenza a una qualsivoglia
classificazione. Non c’è niente che possa imbrigliarlo,
né lui, né tantomeno i suoi personaggi, piccole schegge
impazzite di un male che qui, in questo grande romanzo, sono
accomunate dal fatto di essere ontologicamente il male stesso.
Un’opera intensa, amara come al solito, ma viva e perfettamente
capace di restituire quell’alone di incompiutezza che gravita,
tragicamente, sui suoi personaggi migliori e di pari passo sull’uomo
in sé. Lo svedese, esempio brillante di una vita
apparentemente brillante, un’identità frantumata,
Sabbath, una ridicola controfigura di quello che avrebbe potuto
essere un uomo e ora il brillante professore Coleman Silk, burlato
dal logos, pensiero e parola che lo incarnano a finzione di se
stesso. Un uomo nero che si finge bianco, che recita la sua esistenza
sul filo di lama, una lama tagliente che potrebbe fendere la sua
carne in ogni momento. Non solo personaggi tragici però, come
si sa, nel caso di Seymour Levov e dello stesso Coleman Silk,
l’equilibrio è ripristinato con l’espediente del
ponderato narratore, colui che veste il ruolo del testimone degli
eventi e di novello tedoforo, capace di rischiarare i punti bui di
un’esistenza mentre la consegna ai lettori per mano del suo
stesso inventore. Nathan Zuckerman, l’alter ego di Philiph
Roth, è il nostro mentore ancora una volta, è colui che
ci guiderà a dare un significato all’esistenza appena
rappresentata.
L’epilogo
di questo romanzo infatti , pur generando gli stessi quesiti
suscitati dall’esperienza parainfernale di Sabbath, lascia il
lettore in uno stato completamente diverso, nell’accettazione
di un destino terribile, crudele.
Consapevole
di non aver affatto parlato del romanzo, lo consegno ai futuri
lettori, totalmente appagata da una lettura che ancora una volta
offre una visione disincantata dell’uomo, dell’America,
del suo falso mito delle “belle sorti e progressive” che
si frantumano nell’incapacità di un sistema di
istruzione lacunoso e deficitario, nel falso mito del melting polt e
nella totale inadeguatezza della sua classe politica. Roth chiama
Pirandello, per la parte squisitamente filosofica, come America
chiama Italia per il contesto socio-culturale e politico. Mai così
vicini, a noi manca il Vietnam ma i ragazzi del ’99 non furono
poi tanto lontani dagli americani quando divennero “scemi di
guerra”.
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