Il
tempo che trasforma – Patrizia Fazzi –
Prometheus – Pagg. 136 – ISBN 9788882202798
– Euro 15,00
“…è
goccia che incide/la pietra della pelle/e scava cunicoli nel cuore…”
Di
solito i poeti, a meno che non stiano scrivendo un poema, si
abbandonano all’ispirazione producendo testi di vario
argomento, a seconda che il loro sguardo cada all’interno di sé
oppure nell’universo esterno, nelle cose, nella gente, nella
società. Con il passare del tempo scoprono di possedere un
deposito di poesie che chiedono di essere messe in ordine. Allora
cominciano a tendere un filo tra i vari testi per creare una raccolta
organica.
E’
quello che è riuscita a fare con successo Patrizia
Fazzi nella
sua ultima raccolta “Il
tempo che trasforma”. L’autrice
ha saputo inserire con maestria le varie poesie del suo “deposito”
in una struttura solida e ben congegnata, seguendo un filo di senso
riconducibile alle tematiche principali della sua poetica: il valore
assoluto della poesia, l’amicizia, l’interesse vivo per
la propria città e le sue bellezze artistiche, l’amore
per l’arte in grado di offrire emozioni sublimi e infine le
riflessioni sull’esistenza, filtrate dalla cultura umanistica.
Il
libro è così ripartito in cinque sezioni che si
presentano come una “danza della poesia” nel regno del
cuore, nel respiro del mondo, sulla soglia del bello fino al “
tempo che trasforma” o, come cantava Foscolo, tutto “traveste”.
Passi
di danza allora, perché le emozioni poetiche giungono con un
loro ritmo e il poeta non può far altro che tradurlo in parole
danzanti, e “passi verso…”che iniziano con il
Preludio Fino
all’anima,
dove Patrizia, sentendosi scissa tra il sé e l’immagine
sociale “Vivere
dissociata/scissa/tra il tuo mondo di parole…/e/il mondo degli
altri/ che si agita..” ,
esprime l’esigenza di denudarsi di tutte le maschere per
giungere alla politezza dell’anima, al nocciolo del proprio sé.
Sa che può farlo solo con la poesia. Solo questo“furor
cordis” potrà
condurla fino all’anima, a quelle forze incosce che alimentano
lo slancio vitale. Solo con essa potrà giungere a
“riattingersi” a quella linfa che nutre la vita.
Perciò
si abbandona alla poesia e inizia la Prima danza che la porta “Là,
dove il cuore”,
cioè nel mondo dell’amore/dolore (amore per gli
amici/dolore per la loro perdita; amore che offre/dolore di non
sentirlo compreso) che rende con versi coinvolgenti e carichi di
pathos “Tu
non sai la solitudine che arriva/e sfianca il fiato/ la perdita di
senso delle cose/non sai forse la mano che ti manca nella mano…”.
Di
seguito la ballerina cerca di cogliere il farsi della vita e della
storia, danzando in “Il
respiro del mondo”
tra uomini di potere che “sono
le albe dure del mondo,/quelle celate in neon colorati di affari…/”,
considerazioni sull’estrema fragilità dell’uomo e
delle sue costruzioni, arcaici riti di comunione collettiva di cui
emblematico è il significativo inno “Alle mani sacre”
e il tempo sospeso del coronavirus in cui, più di sempre, ci
sentiamo “…stretti
al senso di comunità globale”.
Ed
eccoci alla Terza danza di cui Patrizia è molto esperta,
quella della contemplazione e celebrazione del Bello dell’Arte
che è“…sapienza
assoluta di mani e di mente,/”éidolon” e logos/che
resiste/nel tunnel del tempo”. Esperta
perché ha già dato prova in alcuni libri precedenti
( La
conchiglia dell’essere ,dedicato
alla Storia della vera croce di Piero della Francesca, Il
filo rosso dedicato
alla pittura di Giampaolo Talani e Finché
ci sarà una nota dedicato
alla musica) dell’attrazione che prova per le altre arti e
della capacità che ha di commuoversi di fronte ad esse e di
intepretarle, rendendone in poesia i significati profondi.
Restando sulla
soglia del Bello,
ispirata agli eventi culturali della sua terra aretina, i suoi occhi
colti inneggiano alla musica “che trafigge l’anima”,
oppure, di fronte al castello di Poppi, fanno rivivere genti e
costumi passati, ed anche ci conducono a comprendere i messaggi
profondi dei cavalli di Gustavo Aceves e dei colori dei quadri di
Mark Rothko.
Il balletto
finale è
l’ultimo gradino dell’ascesa. Qui affronta il tema
di Il tempo
che trasforma cose
ed esseri viventi.
“Dal
davanzale del tempo osservo
il
mulino degli anni
che
macina e gira
i
giorni e i mesi
e
noi tutti sospesi
nell’acqua
fluente
che
chiara ci appare
solo
quando ritorna alla fonte… (Dal davanzale del tempo)
Contiene
poesie molto intense di chi sa di trovarsi nella fase discendente
della vita e riconsidera il passato alla luce di tale consapevolezza.
Bello e tragico il grido dell’anima contenuto in “Quanto
sole ci siamo persi” dove l’autrice esprime il rimorso
per tutti quei desideri e sogni che avremmo potuto realizzare e ai
quali abbiamo rinunciato, arrotolati “su
grumi di scrupoli”,
“riacciuffati
da un gendarme/più audace dei nostri desideri”,
il nostro Super-io.
Nel
finale però riemerge la speranza per un futuro dove la poesia
possa donarle ancora “il
miracolo delle parole vive” da
consegnare al tempo insieme al respiro del proprio figlio. Finale che
condivido in pieno e che auguro a Patrizia come a me stessa.
L’opera
è introdotta da una chiara e particolareggiata prefazione del
poeta e critico letterario Paolo
Ruffilli,
che ci illumina sull’intero percorso poetico di Patrizia Fazzi
e su questa sua ultima fatica. E’ inoltre corredata da una
Autoprefazione e da una Nota dell’autrice.
Franca
Canapini
https://lieve2011.wordpress.com/
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