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  Letteratura  »  Il tempo che trasforma, di Patrizia Fazzi, edito da Prometheus e recensito da Franca Canapini 09/02/2021
 
Il tempo che trasforma – Patrizia Fazzi – Prometheus – Pagg. 136 – ISBN 9788882202798 – Euro 15,00




“…è goccia che incide/la pietra della pelle/e scava cunicoli nel cuore…”

Di solito i poeti, a meno che non stiano scrivendo un poema, si abbandonano all’ispirazione producendo testi di vario argomento, a seconda che il loro sguardo cada all’interno di sé oppure nell’universo esterno, nelle cose, nella gente, nella società. Con il passare del tempo scoprono di possedere un deposito di poesie che chiedono di essere messe in ordine. Allora cominciano a tendere un filo tra i vari testi per creare una raccolta organica.

E’ quello che è riuscita a fare con successo Patrizia Fazzi nella sua ultima raccolta Il tempo che trasforma”. L’autrice ha saputo inserire con maestria le varie poesie del suo “deposito” in una struttura solida e ben congegnata, seguendo un filo di senso riconducibile alle tematiche principali della sua poetica: il valore assoluto della poesia, l’amicizia, l’interesse vivo per la propria città e le sue bellezze artistiche, l’amore per l’arte in grado di offrire emozioni sublimi e infine le riflessioni sull’esistenza, filtrate dalla cultura umanistica.

Il libro è così ripartito in cinque sezioni che si presentano come una “danza della poesia” nel regno del cuore, nel respiro del mondo, sulla soglia del bello fino al “ tempo che trasforma” o, come cantava Foscolo, tutto “traveste”.

Passi di danza allora, perché le emozioni poetiche giungono con un loro ritmo e il poeta non può far altro che tradurlo in parole danzanti, e “passi verso…”che iniziano con il Preludio Fino all’anima, dove Patrizia, sentendosi scissa tra il sé e l’immagine sociale Vivere dissociata/scissa/tra il tuo mondo di parole…/e/il mondo degli altri/ che si agita..” ,     esprime l’esigenza di denudarsi di tutte le maschere per giungere alla politezza dell’anima, al nocciolo del proprio sé. Sa che può farlo solo con la poesia. Solo questofuror cordis” potrà condurla fino all’anima, a quelle forze incosce che alimentano lo slancio vitale.   Solo con essa potrà giungere a “riattingersi” a quella linfa che nutre la vita.

Perciò si abbandona alla poesia e inizia la Prima danza che la porta “Là, dove il cuore”, cioè nel mondo dell’amore/dolore (amore per gli amici/dolore per la loro perdita; amore che offre/dolore di non sentirlo compreso) che rende con versi coinvolgenti e carichi di pathos “Tu non sai la solitudine che arriva/e sfianca il fiato/ la perdita di senso delle cose/non sai forse la mano che ti manca nella mano…”.

Di seguito la ballerina cerca di cogliere il farsi della vita e della storia, danzando in “Il respiro del mondo” tra uomini di potere che “sono le albe dure del mondo,/quelle celate in neon colorati di affari…/”, considerazioni sull’estrema fragilità dell’uomo e delle sue costruzioni, arcaici riti di comunione collettiva di cui emblematico è il significativo inno “Alle mani sacre” e il tempo sospeso del coronavirus in cui, più di sempre, ci sentiamo “…stretti al senso di comunità globale”.

Ed eccoci alla Terza danza di cui Patrizia è molto esperta, quella della contemplazione e celebrazione del Bello dell’Arte che è“…sapienza assoluta di mani e di mente,/”éidolon” e logos/che resiste/nel tunnel del tempo”. Esperta perché ha già dato prova in alcuni libri precedenti ( La conchiglia dell’essere ,dedicato alla Storia della vera croce di Piero della Francesca, Il filo rosso dedicato alla pittura di Giampaolo Talani e Finché ci sarà una nota dedicato alla musica) dell’attrazione che prova per le altre arti e della capacità che ha di commuoversi di fronte ad esse e di intepretarle, rendendone in poesia i significati profondi.

Restando sulla soglia del Bello, ispirata agli eventi culturali della sua terra aretina, i suoi occhi colti inneggiano alla musica “che trafigge l’anima”, oppure, di fronte al castello di Poppi, fanno rivivere genti e costumi passati, ed anche ci conducono a comprendere i messaggi profondi dei cavalli di Gustavo Aceves e dei colori dei quadri di Mark Rothko.

Il balletto finale è l’ultimo gradino dell’ascesa. Qui affronta il tema di Il tempo che trasforma cose ed esseri viventi.

 

Dal davanzale del tempo osservo

il mulino degli anni

che macina e gira

i giorni e i mesi

e noi tutti sospesi

nell’acqua fluente

che chiara ci appare

solo quando ritorna alla fonte… (Dal davanzale del tempo)

 

Contiene poesie molto intense di chi sa di trovarsi nella fase discendente della vita e riconsidera il passato alla luce di tale consapevolezza. Bello e tragico il grido dell’anima contenuto in “Quanto sole ci siamo persi” dove l’autrice esprime il rimorso per tutti quei desideri e sogni che avremmo potuto realizzare e ai quali abbiamo rinunciato, arrotolati su grumi di scrupoli”, “riacciuffati da un gendarme/più audace dei nostri desideri”, il nostro Super-io.

Nel finale però riemerge la speranza per un futuro dove la poesia possa donarle ancora il miracolo delle parole vive” da consegnare al tempo insieme al respiro del proprio figlio. Finale che condivido in pieno e che auguro a Patrizia come a me stessa.

L’opera è introdotta da una chiara e particolareggiata prefazione del poeta e critico letterario Paolo Ruffilli, che ci illumina sull’intero percorso poetico di Patrizia Fazzi e su questa sua ultima fatica. E’ inoltre corredata da una Autoprefazione e da una Nota dell’autrice.


Franca Canapini


https://lieve2011.wordpress.com/




 
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