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  Letteratura  »  Liriche cinesi (1753 a.C. - 1278 d.C.), di Autori Diversi, a cura di Giorgia Valensin, edito da Einaudi e recensito da Piera Maria Chessa 14/03/2021
 
Liriche cinesi (1753 a.C. - 1278 d.C.) - Autori Diversi, a cura di Giorgia Valensin con prefazione di Eugenio Montale – Einaudi – Pagg. 247 – ISBN 2560888261903 – Euro 20,00



E’ questo un libro a me caro. Mi è caro per ciò che contiene, e in ugual misura perché sulle sue pagine, diversi decenni fa, trascorsi un po’ di tempo come studentessa universitaria.
Avevo infatti un docente di filosofia appassionato di poesia e pittura cinese, fu lui a farmi conoscere un pezzetto di quella cultura molto lontana dalla nostra ma straordinariamente attraente.
Ed è così che in questi giorni mi sono ritrovata a rileggere quel libro con la stessa curiosità e interesse che provai allora.

Le liriche racchiuse in questa raccolta sono indubbiamente piuttosto diverse da ciò che noi oggi chiamiamo testo poetico o poesia, non sono tuttavia meno belle.
Giorgia Valensin, bravissima curatrice e traduttrice dell’opera, ha preso in esame un arco di tempo che comprende più di duemila anni. Si parte infatti dal 1753 a.C. e si arriva fino al 1278 d. C.
Si è trattato di secoli difficilissimi che hanno conosciuto guerre, carestie, e flagelli di ogni genere, eppure, a dispetto delle difficoltà, in tantissimi si dedicarono a quell’arte meravigliosa che è la poesia. Erano ministri, generali, imperatori, ma anche funzionari che furono costretti all’esilio, e persino mogli ripudiate. Questo potè accadere perché spesso era quello il loro modo di fare corrispondenza, e quindi, di comunicare.


Il lavoro incomincia con la sezione dedicata al Libro delle Odi. Si tratta del periodo che va dal 1753 a. C. al 600 a. C. ed è l’inizio della poesia cinese.
Il Libro comprende 305 canzoni popolari che, si dice, siano state scelte da 
Confucio e da lui utilizzate per diffondere i suoi insegnamenti.
Riporto la prima strofa della 
Preghiera a Tchong.

Io prego Tchong
Che non s’accosti troppo alla mia casa,
E che non rompa i rami ai nostri salici:
Non per amore dei rami dei salici
Ma sì perché ho paura dei parenti.
Tchong è adorabile,
Ma il cruccio dei parenti è ben temibile!”

Subito dopo la Valensin propone Chu Yuan, che visse dal 332 al 295 a. C. Viene considerato il primo dei grandi poeti cinesi.
Estrapolo la terza strofa dalla sua lirica 
Il Grande Appello, dedicata all’Imperatore affinché gli permetta di ritornare dall’esilio e, nello stesso tempo, non dia retta alle calunnie dei suoi cortigiani. Chu Yuan si serve più volte delle allegorie, per cui l’Imperatore nel testo diventa la donna amata alla quale si rivolge. L’imperatore però non ascolta il suo appello e lui si toglie la vita.

Anima, non andare a Mezzogiorno,
Dove per mille miglia
La terra s’è abbruciata;
Dove serpenti velenosi guizzano
Attraverso le fiamme;
Per sentieri scoscesi
O nei boschi profondi
strisciano cauti tigri e leopardi;
E scorpioni insidiano,
E il Re Pitone alza la testa enorme –
Anima, non andare a Mezzogiorno
Dove la Tartaruga dai tre piedi
Sputa veleno!

Ed eccoci arrivati alla Dinastia dei Han, che iniziò nel 206 a. C. e si concluse nel 220 d. C.
Il suo fondatore fu 
Kao Tzu (247 – 195 a. C.). Dopo aver conquistato l’Impero, ritornò al suo paese dove organizzò una grandissima festa, e fu in questa occasione che scrisse il Canto del Grande Vento, che riporto.

Il grande vento si leva
E le nuvole salpano –
Ho esteso la mia potenza
Per l’universo intero
e torno alla terra natale.
E ora, come trovare
Gli eroi che dovranno vegliare
su tutte le mie frontiere?

Sessant’anni dopo diventò imperatore Wu Ti, poeta lui stesso e protettore dei poeti. Su Wu Li Ling furono generali al suo servizio e scrissero anch’essi in versi.
Tuttavia fu
 Ssuma Siang-yu il poeta più famoso di questo periodo. I suoi scritti, chiamati fu, sono dei poemi descrittivi molto lunghi, per questo motivo la Valensin non ha ritenuto opportuno riportarli.
Le poesie dei poeti di questa importante dinastia furono dei modelli per tutte le epoche che vennero in seguito, sia per quanto riguarda la forma che per i contenuti Tra i testi più imitati ci sono i “
19 Vecchi poemetti” di cui purtroppo non si conosce il nome dell’autore, ma che forse visse nel primo secolo dopo Cristo.

Con la fine della dinastia dei Han l’Impero si spezzò. Ebbe inizio così la cosiddetta Età di transizione, che va dal 220 al 618 d.C. Vi furono molte altre dinastie, ma durarono per poco tempo.
Tra queste, quella dei 
Wei, il cui fondatore fu Tsao Tsao (220-265 d.C.), e poi suo figlio Tsao Chih, entrambi poeti.
La Valensin ricorda anche la dinastia dei 
Tzin, durante la quale si diffuse la dottrina del Tao. Seguendo questa dottrina molti poeti andarono a vivere tra i monti conducendo una vita da eremiti. T’ao Ch’jen viene considerato il più bravo tra i poeti di quel tempo.
Purtroppo questo è anche il periodo in cui aumentarono i contrasti tra la Cina del nord e quella del sud. Ed è proprio nella parte meridionale del Paese che visse il poeta 
Pao Chao, particolarmente apprezzato per la sua originalità.
Vengono citate anche le dinastie dei 
Liang e dei Sui, i cui Imperatori, Wu-ti Yang-ti, furono considerati anch’essi dei buoni poeti.
Finalmente, sotto quest’ultima dinastia, la Cina fu riunificata.

Di seguito, due liriche. La prima appartiene a T’ao Ch’ien (372-427 d.C.), e si intitola Do la colpa ai miei figli.

Ciocche bianche mi coprono le tempie;
Son rugoso e appassito senza scampo.
Ho cinque figli, è vero;
Ma tutti odian la carta ed il pennello.
Ha diciott’anni A-shu;
Per la pigrizia è proprio impareggiabile.
A-suan fa quel che può:
Ma in verità detesta le Arti Belle.
Jun-tuan ha tredici anni,
Ma non distingue ancora sei da sette.
Nel nono anno Tung Tzu
non pensa che alle noci ed alle pere.
Se il ciel così mi tratta,
Che posso far se non empir la coppa?

La seconda lirica, invece, è stata scritta da Pao Chao (413-466 d.C.), e si intitola Il letterato chiamato alle armi.

Or tardi,
Mi accodo alla necessità dei tempi;
Dall’alto d’una barricata soggiogo remote tribù.
Lascio la sciarpa, indosso una veste di rinoceronte;
La gonna arrotolata, un arco nero a tracolla.
Prima di cominciare mi sento mancare le forze;
Che sarà mai di me, innanzi che tutto finisca?

Si arriva a questo punto alla Dinastia dei T’ang, che va dal 618 al 905 d. C.
Epoca che viene denominata l
Età dell’oro della Cina, sia in riferimento alla poesia che alla pittura. Non a caso, molti dei poeti di questo periodo furono anche pittori ed eccellenti nella calligrafia, considerata quasi una terza arte.
Le loro poesie ebbero spesso una funzione politica, furono invece poche le poesie d’amore, all’interno delle quali si trovano numerose allegorie. Moltissime liriche sono invece dedicate all’amicizia.
Li Po (701- 672 d.C.) è ritenuto spesso il pù grande tra i poeti cinesi, sicuramente è il più noto e quello più tradotto in Europa. Visse in un periodo difficilissimo, nel corso di una guerra in cui morirono trenta milioni di uomini. Eppure, nonostante ciò, riuscì a tenerla lontana dai suoi versi. Al contrario del suo amico poeta Tu Fu (712-770 d. C.), che nei suoi scritti racconta soprattutto l’orrore delle guerre e le ingiustizie.

Ecco di Li Po la lirica Schiarita all’alba

I prati son freddi, la pioggia rada è cessata;
I colori del Maggio da ogni parte si affollano.
Di pesci che saltano la vasca azzurra è piena;
Sotto a tordi che cantano verdi rami si piegano.
I fiori dei campi si lavano le guance incipriate;
L’erbe dei monti s’inchinano tutte insieme.
Sul Fiume dei Bambù l’ultimo lembo di nuvola
Stracciato dal vento lentamente si sperde.

Di Tu Fu propongo invece l’ultima parte della lirica Il canto dei carri di guerra

Oh, invero, avere dei figli è una sventura!
Si è più contenti se nascono delle figlie:
Almeno, cresciute, si sposano ad un vicino.
Ma i corpi dei figli si sfanno coll’erba, nei campi…
Non vedete dunque, tutto attorno a Ts’in-hai
Gli scheletri bianchi che giacciono abbandonati
Fino dai tempi remoti?
I mani dei morti recenti
Ci dicono i loro rimpianti;
I mani dei morti antichi piangono invano
Nei tempi piovosi e bui, con gridi d’uccello –
Tzi-u – tzi-u

*I mani erano le anime dei defunti, ma talvolta anche delle divinità.

Uno spazio speciale merita il poeta Po Chu-i (772- 846 d. C.).
Ebbe una vita travagliata, e per due volte fu mandato in esilio. La prima volta in seguito alla pubblicazione di un memoriale in cui manifestava la sua avversione alla guerra, e criticava l’ingordigia dei funzionari. Fu mandato molto lontano, dove ebbe comunque un ruolo importante: quello di governatore. La seconda volta, per aver criticato direttamente il cattivo governo dell’Imperatore. Questa volta gli fu affidata, sempre da governatore, un’importante provincia dell’Impero.
La principale caratteristica della poesia di Po Chu-i fu la semplicità. Per quanto riguarda invece le sue idee sull’arte, erano molto simili a quelle di Confucio. Come lui infatti riteneva giusto criticare i comportamenti dei governanti, e avere il ruolo di guida morale nei confronti del popolo.
Fu un poeta popolarissimo tra i suoi contemporanei, più tardi però la semplicità delle sue poesie in Cina non fu più apprezzata. La sua fama si diffuse invece in Giappone già durante la sua vita, a tal punto da essere in seguito venerato quasi come una divinità.

Ecco un suo testo. Si intitola Il mio servo mi sveglia

Il mio servo mi sveglia:”Signore, il giorno è già alto;
Sorgete dal letto; vi porto il catino ed il pettine.
L’inverno s’avanza, l’aria al mattino è gelata:
Vostra eccellenza oggi non deve sortire”.
Ma se resto a casa nessuno mi viene a trovare;
Che mai farò nelle lunghe ore oziose?
Collocata la sedia in un debole raggio di sole,
Ho scaldato il vino e aperto il mio libro di versi.

Il libro si chiude con la Dinastia dei Sung (960- 1278 d.C.)

Sotto questa dinastia si diffuse in modo particolare il tzu, che è un piccolo poema musicale.
Tra i poeti più significativi vanno ricordati
 Sou Che (1036- 1101 d. C), e Lu Yu (1125-1210 d. C.).

Riporto il testo Per la nascita del suo bambino, di Sou Che

Ogni famiglia, quando nasce un bimbo
Lo vuole intelligente;
Io coll’intelligenza
Ho rovinato tutta la mia vita;
Spero solo che il bimbo si dimostri
Stupido ed ignorante;
Coronerà così una vita placida
Diventando Ministro

E infine, una lirica di Lu Yu intitolata Veleggiando in autunno

Via, via – veleggio nella mia barca leggera,
Salta il mio cuore con grandi salti di gioia.
Tra i rami spogli scorgo il tempio nel bosco;
Sul rivo sottile torreggia il ponte di pietra.
Giù per i viottoli passano pecore e bovi,
Nel villaggio nebbioso gridano corvi e gazze.

Di ritorno a casa bevo una coppa di vino
Né temo il vento vorace che s’alza di sera.


Per concludere, voglio infine riportare un passo della bella prefazione di Eugenio Montale in cui il nostro grande poeta dice:

…”queste poesie di circa due millenni ci lasciano un sentimento in cui l’ammirazione confina col capogiro, col mal di mare. Limpidissime come sono, esse sfuggono a quel metro nuovo che l’età cristiana ha regalato al mondo occidentale, e forse non solo a questo. Non è solo che manchi in esse quell’umanizzarsi del tempo e della natura e quella divinizzazione della donna che son proprie della lirica europea; è piuttosto che qui, come nel miracolo della scultura egiziana e, in minor grado, in quello dell’arte greca, l’uomo e l’arte tendevano alla natura, erano natura; mentre da noi, e da molti secoli, natura ed arte tendono all’uomo, si fanno uomo.”



Piera Maria Chessa



https://pieramariachessa.wordpress.com/






 
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