Organsa
– Mariangela Mianiti – Il Verri – Pagg. 269 –
ISBN 9788898514564
– Euro 16,00
Quando
la rinuncia diventa uno stile di vita
Luisa,
sarta nella Bassa parmense e donna prigioniera del suo mondo
Se
ci sono romanzi che ti tengono incollati fino all’ultima
pagina, certamente tra questi brilla «Organsa», il fresco
di stampa di Mariangela Mianiti (Il Verri edizioni, diretto da Milli
Graffi, pp.269, euro 16). Dopo aver ottenuto importanti premi
giornalistici, la Mianiti nel 2011 ha pubblicato per la Sonzogno
«Anche il caviale stanca». Attualmente scrive per il
quotidiano «Il Manifesto» su cui tiene la rubrica Habemus
Corpus.
Il
plot narrativo ci porta nella Bassa Parmense, in anni in cui la donna
contava meno di poco. Voce narrante è Aurelia, a cui fin dalla
primissima infanzia nulla sfugge, tutto vede, annota sottolinea.
L’incipit parte da un plico di vecchie fotografie di famiglia.
Tra i vari parenti raffigurati, Aurelia nota lo sguardo di Luisa, sua
madre, ostile nei confronti di Anselma, la nonna. «Mia madre
accanto a sua madre è un umano che sa di essere vicino al suo
carnefice e sta all’erta. Questa foto è crudele. La
nascondo - afferma Luisa – in fondo a un cassetto, le mostrerò
solo le altre, quelle più innocue». Dentro quello
sguardo, dunque, sembra racchiudersi un segreto che aleggerà
nella pagina, rivelandosi gradatamente. Luisa si è maritata
con un uomo, gran lavoratore, generoso, semianalfabeta, sempre
disprezzato dalla famiglia della moglie. Luisa è stata
costretta, compiacendo i genitori, a rinunciare a tutto ciò
che le stava a cuore: lasciare l’amata Parma, andando a vivere
a Campetto, nella Bassa. Questo significherà doversi curare di
un’osteria, di un negozio bazar di alimentari, trascurando il
suo amatissimo lavoro di sartoria. La madre, che evoca in noi
l’immagine della matrigna di Cenerentola, la comanda
inesorabile, privandola di qualsiasi aspirazione. Gli sposi, con la
piccola Aurelia, vivranno negli spazi angusti di un immenso casone. A
loro toccherà sempre la parte meno comoda. I disumani genitori
della sarta rinunciataria, saranno maestri di soprusi e di angherie
continue, appropriandosi degli spazi migliori, aggiungendo pezzi,
come in una volubile scacchiera a quel casone mostruoso. Aumenterà
il numero dei figli, diminuendo, in proporzione, la libertà
della sottomessa Luisa. La trama di una storia triste è
vivacizzata dal mix tra il lessico cristallino dell’Autrice e
la durezza, simile a revolverate, del dialetto parmense contadino che
ignora la consonante zeta, sostituendola con la esse. Ecco perché
l’organza, il tessuto trattato dalla sarta Luisa, diventa
l’Organsa del sintetico titolo del romanzo. Sempre più
incuriositi, vediamo crescere la narratrice e i suoi tre fratelli,
divertiti dalla vita dell’osteria, popolata da personaggi
balordi. Un’atmosfera, questa, che piacerebbe al compianto
Giuseppe Pederiali.
Luisa,
rinuncerà anche a una ghiotta occasione di dirigere una
sartoria di lusso, si annienterà nelle rinunce. Non mancano
certo flash umoristici, come quello dell’ispettore scolastico
che andrà a fare controlli alle scuole elementari, frequentate
da Aurelia che brilla e brillerà sempre in tutte le materie.
Mentre la vita avanza, nell’osteria entrerà il primo
televisore, nel garage la prima automobile, tardivamente in casa la
prima lavatrice.
I
ragazzi cresceranno, formando, a loro volta le proprie famiglie,
torneranno al casone tutti insieme solo a Natale.
Il
finale inaspettato della trama, lo lasciamo al lettore, per non
rovinargli la malinconica sorpresa.
Grazia
Giordani
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