Nella
stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti
– Pietro
Roberto Goisis – ED Enrico Damiani – Pagg. 368 –
ISBN 9788899438746
– Euro 20,00
Un
analista e i suoi pazienti
Pietro
Roberto Goisis, è un medico psichiatra e psicoanalista, scrive
questo libro principalmente per descrivere come e quanto siano
importanti le stanze in cui vi è l’incontro tra medico e
paziente, quel luogo dove si istaura un rapporto “stretto”,
e quanto esse siano fondamentali per la buona riuscita nell’approccio
paziente/analista.
Come dice lo stesso autore: “Lo
psicoanalista non è un muro, non è neppure un orecchio
neutro. E’ una persona che vive di incontri, che deve curare
altre persone, ma anche curare sé stesso. (…) Il
paziente si affida, anche lo psicoanalista si affida, benché
in modo diverso.”
L’autore
narra semplicemente quale sia l’appagamento di chi va in
analisi nel sentirsi pienamente avvolto e forse coccolato nella
libertà di esprimersi senza essere condizionato o giudicato, e
nello stesso tempo, il benessere dell’analista nella
soddisfazione che l’ambiente da esso creato sia parte della
buona riuscita dell’analisi stessa. Una corrispondenza
reciproca che va avanti da secoli, sin dal creatore della
psicoanalisi Sigmund Freud, che è sicuramente il primo a dare
importanza alla “stanza” di incontro tra terapeuta e
paziente.
La
prima e più famosa adolescente della psicoanalisi è
stata Dora, una diciottenne vista e raccontata da Freud nel 1901.
Molti terapeuti esperti in adolescenza hanno in seguito criticato la
gestione del caso – peraltro interrotto dopo soli tre mesi di
trattamento – per l’eccessiva attenzione che era stata
data al punto di vista e alla posizione del padre della
ragazza.
Trentacinque
anni dopo lo stesso Freud incontra un’altra diciottenne.
Margarethe Walter. Nel 2006, lei, l’ultima paziente freudiana
ancora in vita, ricorda in un’intervista che l’ormai
anziano analista lo accolse nel suo studio al 19 di Berggasse a
Vienna. Le fece delle domande alle quali rispose sempre il padre.
Freud taceva. A un tratto disse al signor Walter in un tono cordiale,
come se fosse la cosa più naturale: «La prego, vada
nella stanza accanto. Vorrei parlare con sua figlia da solo».
Girò la sedia verso di lei, le si avvicinò e le si
rivolse apertamente: «Adesso siamo soli», e
immediatamente la tensione si allentò. E lei parlò e
parlò.
«Lui
ha esaudito per la prima volta il mio perenne desiderio di aprirmi a
qualcuno: Sigmund Freud è stata la prima persona che abbia
davvero mostrato interesse nei miei confronti, che volesse sapere
qualcosa di me, l’unico che realmente è stato ad
ascoltarmi».
Goisis,
fa un’analisi lucida di ciò che succede all’interno
della stanza dell’analista, un via vai di persone che dopo un
primo approccio decidono se rimanere e intraprendere un percorso, o
se andare e non tornare più: un’attesa e un arrivo, un
parlare e un ascoltare, un narrare e un sentire parallelo. Sono due
sconosciuti che si incontrano e, ognuno, in modo diverso, con paure e
aspettative da colmare per soddisfare i propri bisogni.
L’autore
traccia il suo percorso professionale, fatto di sbagli e incertezze
che sono servite a rafforzare il suo essere psicoanalista, ma aperto
e disponibile nella sua professione, prima ancora come essere umano
che come Dottore, la stanza, quindi, è vista anche
metaforicamente per costruire un rapporto sano tra analista e
paziente.
Sotto molti punti di vista un libro interessante,
l’empatia mostrata dall’autore è fondamentale per
la buona riuscita di un percorso psicoanalitico per la persona,
paziente una volta solcata la soglia della stanza dello
psicoterapeuta.
Goisis illumina le pagine, e al lettore arriva
tutto l’amore che esso ha per il suo lavoro: ti viene voglia di
passare quel confine, di entrare nella stanza, accomodarti e lasciare
che le parole colmino tutte le mancanze.
Un libro che consiglio
ai professionisti del campo perché avrebbero molto da imparare
da “Nella stanza dei sogni”; professionisti che troppo
spesso, si perdono dietro la teoria lasciando a cosa la parte più
umana e questo si ripercuote negativamente sul percorso del paziente.
Citazioni
tratte da: Nella stanza di sogni. Un analista e i suoi pazienti
Cose
che possono succedere e mi sono successe solo lì, in quel
luogo. Come senza un campo da tennis non ci sarebbe mai stato Andrè
Agassi, se non ci fosse una stanza non esiterebbe alcun terapeuta,
nessun paziente. A volte ho perfino la sensazione che sia magia, che
riesca a tirare fuori il meglio di me, qualcosa che neppure so di
possedere, che altrove non saprei trovare, che mi sorprende.
Cerchiamo
intensamente relazioni, soffriamo se ci mancano. Abbiamo bisogno di
sentire la presenza, benevola e accogliente, di chi sta con noi.
Viviamo profondi sensi di abbandono e di perdita se i nostri
interlocutori vengono meno. Vogliamo parole di conforto.
Poi,
a volte, ci basta stare in quello spazio, lo spazio della stanza,
come se fosse una capsula iperbarica lanciata nello spazio. La
abitiamo, la facciamo nostra, il tempo si dilata.
«Mi
sembra che lei giudichi gli uomini con lo stesso criterio che
utilizzerebbe per un campo di carote: è vero che a prima vista
sembrano tutte uguali, spunta solo la parte verde, più o meno
rigogliosa, ma solo tirandole fuori dal terreno ne può
valutare qualità e bontà. Ecco, a me pare che lei, per
evitare carote di cattiva qualità, rinunci a priori a
mangiarle. Forse potrebbe provare a giudicare la carota solo dopo
averla raccolta!»
L’attesa,
appunto.
C’è
chi la riempie di niente, forse la scelta più “sana”;
chi, invece, di varie forme e modalità.
Anche
l’inconscio ha un’anticamera.
Almeno
il mio ce l’ha.
È
una sala d’aspetto con una porta che si chiude da sola.
Tu
apri, entri, a te la scelta delle sedute.
Penso
che si esca dall’infanzia quando ci si accorge che i propri
genitori hanno dei difetti.
E
che si esca dall’adolescenza quando si accettano questi
difetti.
(…)
Penso
che si diventi adulti quando ci si deve occupare dei difetti dei
propri genitori.
Dicono
che bisognerebbe sempre lasciare un tempo tra la scrittura di una
mail e il suo invio, hanno scritto anche delle piccole regole. Io non
ne rispetto nessuna, botta e risposta. Azione, reazione. Oppure non
rispondo mai. Mica sono un millenial per niente!
Una
schioppettata. Le parole, come proiettili, viaggiano nella mia
direzione. Lo schivo, non mi toccano, ma mi feriscono profondamente.
Si stampano sulla parete alle mie spalle. Avverto un senso di calore,
interno e sul viso. Il cuore batte forte, le mani vibrano, un prurito
sale rapido lungo le gambe fino alle cosce.
«Che
non so assolutamente se ho diritto a stare qui…».
«Perfetto,
ecco il cuore del problema! Per poter chiedere e ricevere qualcosa
hai bisogno che qualcuno ti autorizzi. E in questo modo che si
realizza la dipendenza che ti imprigiona. Ma il punto fondamentale è
che l’hai potuto dire, e credo che da questo momento niente
sarà più come prima. Almeno qui, tra noi due».
La
vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo.
Eppure
io credo che se ci fosse un po’ più silenzio, se tutti
facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…
Roberto Benigni (Film: La voce della luna)
La
maggior parte delle persone creative desidera esprimere la propria
gratitudine per aver potuto beneficiare dell’opera di chi ci ha
preceduto. Ogni mia realizzazione è debitrice ad altri membri,
sulle cui spalle poggiano i nostri piedi. Cerchiamo di usare i
talenti che abbiamo per esprimere il nostro sentire più
profondo, per esternare la nostra ammirazione per tutti i contributi
di chi è venuto prima di noi, e per aggiungere qualcosa a quel
percorso. (Steve Jobs)
Ciò
che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo
davvero. Wolfgang Gorthe, Faust
La
costanza e la ripetizione non sono mai stati un problema per me.
Nelle abitudini e nelle consuetudini ho trovato sempre sicurezza, una
sorta di garanzia di continuità.
Perché
mi sono ammalata? Cosa è successo nella mia testa per
scatenare questo inferno?
Si
nasce o si diventa così? Centrano di più i geni o
l’ambiente? Il corpo o la psiche?
Perché
se le cose le vedi in chi ti sta vicino, in qualcuno a cui vuoi bene,
viene più facile pensare, riflettere, uscire dalla propria
testa e cercare di capire.
Con
il tempo ho coniato due nuovi concetti. Il primo è stato
“l’arcipelago degli omosessuali”. Così ho
iniziato a chiamare le persone che progressivamente sono arrivate da
me dichiarandosi tali.
Perché
questa definizione? Tutti sappiamo cosa sia un arcipelago: è
un insieme di isole, talmente numerose che in alcuni casi è
addirittura impossibile contarle, perfino definirle geograficamente e
dettagliatamente. Non esiste “una” omosessualità,
ci sono le persone omosessuali, e quindi una vasta gamma di modalità
con le quali questa identità viene vissuta ed espressa; ossia
una pluralità di manifestazioni che ci ricorda di considerare
come ogni individuo sia veramente unico, a sé stante.
Tolleranza
è la voglia di immaginare che un’altra persona possa
avere ragione. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo
E’
davvero solo e soltanto questo il problema? Cosa avviene nella mente
di una donna che, pur conscia che le viene fatto del male, non lo
evita?
Ti
meriti un amore che spazzi via le bugie. Frida Kahlo
…
a
capire che non si è forti quando si scappa, ma quando si
rimane, quando si lotta, quando si affrontano le difficoltà.
C’è
un senso di vuoto, un’inerzia che cala lenta come un velo sulla
mia mente. Solitudine. Una sorta di languore pigro.
Quanti
avvenimenti può contenere un millesimo di secondo, una
frazione infinitesimale di tempo? Quanto oltre ci si può
spingere con la mente dentro quella realtà parallela?
Oggi
siamo prigionieri di pensieri che sgomentano.
Mi
piace poter pensare alla scelta di parole, poterle cambiare quando
non mi sembrano efficaci…
Katia
Ciarrocchi
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