Il
trittico sui longobardi
di
Renzo Montagnoli
Marco
Salvador, autore di romanzi storici di indubbia qualità, è
riuscito nella non facile impresa di dare una continuità
temporale a opere che così delineano perfettamente o una
famiglia nobiliare, come nel caso di Ezzelino da Romano e dei suoi
eredi, oppure un popolo che in una determinata epoca ha preso il
sopravvento su altri, come per l’appunto nel caso dei
longobardi.
Questa
popolazione di origine germanica fu protagonista fra il II e il VI
secolo di una migrazione che la condusse dai luoghi d’origine
del basso Elba fino all’Italia, dove, nel VI secolo
costituirono con Alboino un regno autonomo che si estese gradualmente
su quasi l’intera penisola e che cessò di esistere nel
774 a causa della sconfitta a loro inflitta dai Franchi di Carlo
Magno.
A
questo popolo, che seppe integrarsi con le locali genti italiche,
Salvador appunto ha dedicato tre romanzi storici che ne ripercorrono
le gesta. Sono nati così Il longobardo, La
vendetta del Longobardo e L’ultimo longobardo,
tutti scritti fra il 2004 e il 2006, a cui vi è da aggiungere,
quasi un’appendice, e cioè Il trono d’oro,
di molto successivo, risalendo la sua pubblicazione al 2013.
Perché
intendo considerare quest’ultimo un’appendice? Perché
i primi tre parlano dell’epopea di questo popolo, quasi dalla
nascita della loro potenza fino all’ultimo atto che ne sancisce
la fine, mentre Il trono d’oro è ricco di notizie
sul principato longobardo di Salerno-Benevento. Nell’VIII
secolo, sconfitti da Carlo Magno i longobardi del Nord, restavano
infatti quelli del Sud, divisi in due regni, e in pratica
dell’unificazione degli stessi parla diffusamente Il trono
d’oro. Si tratta di un romanzo interessante, di piacevole
lettura, ma ripeto secondo me è un’appendice dell’opera
maggiormente consistente sul più importante regno longobardo
nell’Italia Settentrionale.
Il
longobardo mi ha affascinato fin dalle prime pagine, con
questo protagonista, Stiliano, che racconta del grande Rotari, forse
il re longobardo più famoso, quello del famoso editto con il
quale venne codificato il diritto longobardo, prima solo trasmesso
oralmente. E’ un’opera avvincente, con tante battaglie,
grazie alle quali il regno fu notevolmente ampliato, ed è un
buon punto di partenza per ampliare le conoscenze di questo popolo,
sovente lacunose, tranne che per gli addetti ai lavori, come gli
storici e appunto Salvador che, prima che narratore, è
storico.
Se
con le vicende di Rotari siamo nel VII secolo, con La vendetta
del longobardo passiamo a quello successivo in pratica agli
ultimi anni di vita del regno longobardo, in piena decadenza,
nonostante ci siano personaggi di sicuro valore come Astolfo e
Desiderio, ma i Franchi incalzano prima con Pipino e poi con Carlo.
Se
riusciamo così a comprendere come una potenza, quella
longobarda, sia giunta progressivamente al suo sfacelo, non possiamo
non apprezzare i numerosi intrecci resi splendidamente dalla mano
sicura dell’autore, insomma si legge e quasi si partecipa,
tanto si è attratti.
Con
L’ultimo longobardo si conclude la trilogia; la
vicenda del principe Arechi, che da giovane ha una naturale
inclinazione per la contemplazione e la vita religiosa, chiamato poi
a ricoprire un ruolo essenziale di supporto alla politica imperiale,
è una di quelle che non possono lasciare indifferenti per
ricchezza di sviluppo, per descrizioni di personaggi, per
un'ambientazione in una Roma sede della Cristianità, ma anche
luogo di intrighi, di lussurie, di lotte di potere.
Salvador
ha colto l'occasione per donarci la figura di un uomo che riassume in
sé le caratteristiche di molti nostri simili, esseri puri
all'origine e che in forza del libero arbitrio si lasciano
coinvolgere e addirittura travolgere dalla sete di potere. E' ben
delineata quella vita che si riduce a una continua difesa di
posizioni acquisite con il contemporaneo sviluppo di trame volte non
solo a rafforzarle, ma a estenderle.
La
vicenda si svolge in un'atmosfera in cui la politica del governo,
intesa come predominio personale, corrompe e corrode tutti, chierici,
nobili, re e perfino papi.
Questo
accade senza distinzione di sesso dei protagonisti , in una
lotta in cui ognuno usa le armi che gli sono proprie, con una
progressiva deriva della morale che porta all'abiezione.
Non
è difficile riscontrare, pur in un'epoca così lontana,
in un periodo definito “pornocratico”, tante, troppe
similitudini con i giorni nostri, come se non ci fosse stata
un'evoluzione nel genere umano.
L’ultimo
longobardo
non
è semplicemente bello, è il canto del cigno di una
civiltà che la penna di Salvador è riuscita a rendere
viva, come se ancora occupasse parte della penisola; alla fine, fra
tante porcherie, tradimenti, uccisioni, il romanzo si chiude con il
riavvicinamento a Dio di Arechi, che ha ben compreso che solo così
può ritrovare la sua anima e risorgere a nuova vita, perché
gloria e potere non sono nulla di fronte alla serenità di chi
è in pace con se stesso.
Il
trittico è veramente bello e la lettura è piacevole e
istruttiva, un ulteriore merito quest’ultimo di Marco Salvador,
che piano piano, con le opere successive, si avvicinerà alla
nostra epoca, con romanzi sempre di notevole livello.
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