Lo
stendardo –
Alexander Lernet Holenia – Adelphi – Pagg. 309 –
ISBN 9788845929014
– Euro 12,00
Dissoluzione
e abnegazione
Quando
gli ultimi bagliori dei fuochi del primo grande conflitto mondiale si
stanno consumando, superati ormai da impellenti spinte nazionaliste
che disgregano l’unità del glorioso impero
austro-ungarico, l’alfiere Menis ritorna alla guerra, punito
per aver osato approcciare la bella Resa, ospite nel palco
dell’arciduchessa, intrufolandosi in quegli ambienti durante
l’esecuzione delle Nozze di Figaro. La sua audacia dà
il via a un serrato corteggiamento che neanche l’allontanamento
forzato da Belgrado per il fronte fermerà, complice infatti il
caso, Menis si ritroverà a meno di tre ore a cavallo dalla
città, distanza che deciderà di coprire ogni notte per
raggiungere la consenziente Resa, ospite del palazzo imperiale.
Come
si intuisce, il romanzo calca un modulo narrativo che lo fa accostare
ai canoni del romanzo d’amore, via via amplificati dal modulo
del romanzo d’avventura, nel momento in cui le complicazioni
renderanno più difficile incontrare la giovane ragazza. Quando
però l’azione bellica entrerà in scena, facendo
di questa narrazione un romanzo storico, i due filoni precedentemente
calcati lasceranno il posto all’elegia, con protagonista
assoluto lo stendardo, simbolo del giuramento alla corona imperiale,
il vero collante di un coacervo di popoli pronti a immolarsi per
un’idea ormai insostenibile, sbiadita come la seta di
quell’insegna che in modo rocambolesco passa nelle mani
dell’alfiere Menis, il quale se ne farà strenuo
difensore anteponendolo a tutto e a tutti.
È
al fronte che Menis capisce che le truppe non seguiranno gli ordini,
non oltrepasseranno il Danubio, che la defezione coincide non con un
interesse privato ma pubblico, collettivo: una salvifica spinta
chiamata autodeterminazione per popoli, gli stessi finora assemblati
in un’unica entità sovrana, percepita dalla stessa voce
narrante, Menis, quale mondo. Il mondo di ieri, appunto, a dirla come
Zweig, scomparso così, all’improvviso. Inconcepibile. E
proprio mentre il reggimento con il quale combatte, si disperde come
pula al vento, lo stendardo cade nelle sue mani, dapprima insegna
privata dell’esercito che combatterà seguendo il suo
sventolio, come tanti prima di questo, poi privato della sua asta e
custodito infine come drappo glorioso tra il petto e la giubba. La
sua fine coinciderà con quella dell’impero in un
maestoso quadro finale che assembla la fuga dei reali da Schonbrunn
con l’aleggiante perdurare nell’aria dei morti in
battaglia.
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