UNO
SGUARDO SULLA POESIA a cura di FERNANDA CAPRILLI
(Il
settimanale di Arezzo, Anno II, n.76; 30 settembre 2011)
CARLA
MALERBA, oniriche visioni di strade, luci, colori.
La
non appartenenza
Dopo
anni di silenzio durante i quali ha continuato a scrivere, Carla
Malerba pubblica nel 2010 la sua ultima raccolta di poesie, Di
terre straniere, per onorare –come lei stessa afferma- una
data molto importante: il quarantennale della cacciata dalla Libia,
sua terra natale, di tutti gli occidentali, in primis ebrei e
italiani. Il motivo della non appartenenza domina tutta la raccolta,
nella quale s’intrecciano ricordi della giovinezza felice
trascorsa a Tripoli e il senso del legame inscindibile che la lega a
quella terra (Mia madre è l’Africa, già madre
di mia madre )con le inquietudini che scaturiscono da una
frattura mai del tutto ricomposta (e sentirsi a volte/ come
collocata a forza / entro paesaggi stranieri,/ ferita pulsante /la
non appartenenza/ né a questo ,né a quello/ di paese.
/L’unico paese/ che mi è rimasto/ è il mio
cuore).
E
se nella poesia che apre la raccolta la Malerba s’interroga
sulle “oscure ragioni” del suo destino nel tentativo di
decifrarne il senso, altrove riconosce che il suo rapporto con il
mondo affonda le sue radici in una terra dove il vento del
deserto/fa fiorire le rose fra le dune e apre il cuore al
miraggio di sempre nuove conoscenze, a un desiderio di andare/mai
scontato.
E
la memoria…
Oniriche
visioni di strade, di luci, di colori che si legano alla giovinezza
dell’autrice,
si alternano, nella raccolta, al ricordo delle persone care, in un
intimismo della memoria che poco concede al racconto disteso, ma ne
sottolinea piuttosto, attraverso l’utilizzo di simboli, il
significato profondo che l’autrice attribuisce loro.
Così,
per esempio, il raggio morente della sera in Passiflora
apre al tema della
perdita,
o in Canzone (Le camelie ingiallivano piano/ nell’afa di
agosto) hanno
come
referente una simbologia di morte, di lento spegnimento, che apre
nella parte finale al ricordo della madre: Avevi un vestito di
seta /sì lieve/ che ondeggiava nel vento/ e pareva /tessuto di
nebbia mattinale. Ma la poesia della Malerba raggiunge i suoi
esiti più convincenti quando, partendo da una determinata
situazione esistenziale realizza un’espansione, proiettandosi
in un “altrove” che, come nel caso della poesia
intitolata Che lungo autunno, vede associati l’assedio
del tempo, simbolicamente indicato dall’autunno, e il tempo del
desiderio che porta l’animo verso terre più lontane
dove il sogno davvero tale appare.
Questo
tipo di procedimento si ritrova anche in una delle poesie più
interessanti della raccolta: Chi ha ansia di andare. Qui il
cammino dell’uomo s’inscrive su ponti di luce sospesi
nella dimensione cosmica degli elementi fino ad aprirsi al mondo e
all’infinito in un’unione che tutto accoglie
(congiunzioni /di mani protese/ a solcare/ ingegnerie
d’infinito).Nella poesia della Malerba la frantumazione
interiore, determinata dall’allontanamento dalla terra natale,
si trasforma spesso in frantumazione delle immagini che appaiono, a
volte, come separate l’una dall’altra; da qui l’uso
frequente delle metafore, della sinestesia e, talora, di un onirismo
un po’ surreale.
LUNGOMARE
DI OEA
Lungomare
di scarpate
e
balaustre,
di
forti sensi,
lungomare
lungo,
il
vento gonfia
vele
di pietra.
Lungomare
di palme
e
di oleandri:
una
gazzella
che
una donna abbraccia
è
immoto sogno
fino
a che il lontano
squarcia
improvviso
il
quotidiano vivere
e
lo scalda.
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