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  Letteratura  »  Semi nudi, di Franca Canapini, edito da puntoacapo e recensito da Patrizia Fazzi 01/05/2022
 
Semi nudi – Franca Canapini - puntoacapo – Pagg. 130 – ISBN 978-88-31428-33-0 – Euro 15,0 0



Si intitola Semi nudi la recente raccolta di Franca Canapini, edita da Puntoacapo nel 2021, con una intensa prefazione di Fernanda Caprilli.

La silloge, divisa in quattro sezioni, ha una copertina con colori squillanti nel buio, emblematici dello scoppio dell’ispirazione poetica e del suo farsi parola scaturendo da un fondo oscuro, portando luce, proprio come il titolo della raccolta che allude alla parola poetica come ‘seme’ che sottoterra nasce nel suo humus segreto e poi matura, ‘nudo’ perché innocente e pronto però a disvelarsi, a dare frutti.

Torno all’acqua/ in un lento andare / di risacca // torno al fosso mio verde…/ torno alla mia natura selvatica”. Con questi versi si apre la raccolta e in essi si riassume il senso e il percorso della prima sezione, la più corposa (comprende ben quarantasei liriche contro le trentasette complessive delle altre tre sezioni) e intitolata Un anno a passi leggeri sulla terra.

Terra” è la parola chiave non solo di questa sezione ma dell’intera raccolta (la ritroviamo ben quattordici volte, se ho ben contato), insieme alle parole “verde” e “natura”, a volte scritte con lettera maiuscola ( si veda ad esempio p.14) e declinate in tutte le loro manifestazioni: fiori, foglie, animaletti (acacie, cardo, betulla, biancospino, anemoni, campanule, vitalba, iris, papaveri, ginestre, tiglio, passerotti, tortore, merli, colombe...). E’ la riprova di un contatto e di una compenetrazione dell’autrice con il mondo naturale nella sua essenza più semplice e vera, colto in tutte le sue stagioni e ore, componendo un ideale calendario (scorriamo alcuni titoli: Il vento di febbraio, Tempo di aprile, Notturno di maggio, Un primo agosto qualunque, Settembre d’argento, Sera di primavera p.23, Imbrunire p.31) e raggiungendo in alcuni passi toni di chiara ascendenza pascoliana (si veda in particolare Notturno di maggio p. 24 e Singhiozzo muto p. 25).

Si compie così, poesia dopo poesia, il ritorno all’infanzia in campagna, con la figura della “madre amorosa”, del padre, definito “tenace radice”, e con il ricordo struggente della ‘prima casa’ (“per quanto tu abbia voluto sfuggirla/ ritorna nei sogni come l’unica Vera” p. 53 ), degli incontri e delle voci nel borgo, in quella età che Canapini definisce “le torride giornate della giovinezza” (p. 29), una stagione irripetibile, per lei come per tutti, dominata dall’”ansia per un futuro che non sapevamo immaginarci’).


Nelle torride stagioni della giovinezza

i fiori allegri dei gerani

addolcivano le scalette di pietra

e le soglie delle case dei poveri


L’aria profumava di cibi appena cotti


Da invisibili piazzette giungevano

rumori e voci di ragazzi


  • chiacchiericci scalpiccii schiamazzi -


Si camminava veloci per quei borghi

spinti dall’ansia per il futuro

che non sapevamo immaginarci.


Questa atmosfera di ‘recherche’ è indicata dal frequente ricorrere di forme verbali all’imperfetto (si veda anche a p. 33 e 37), a sottolineare il proiettarsi dell’autrice in un tempo lontano, rivissuto con nostalgia, a tratti quasi intessuto di mito antico (come ne Vestali del Mediterraneo, p.37 ), un passato contrapposto a quel presente che, a distanza di tanti anni dalla giovinezza, ora appare un tramonto venato di malinconia, depauperato inevitabilmente di energia. Si veda in particolare la poesia Anche le più alte p. 49, che ha un andamento musicalmente classico:

...Anche le più alte di passione fiamme

col tempo degradano in vile carbone freddo

che rapido con la terra si confonde…

In questa lirica compare un’altra parola chiave della raccolta, il termine ‘tempo’, fil rouge sotterraneo di un’operazione difficile tentata dall’ autrice: il ricongiungimento tra quel passato perduto, ma impresso vivamente nell’anima, e il presente, quasi un’invocata unione tra ‘vivi’ e ‘morti’, che sembra compiersi davvero, anche solo per un istante, in Una sera d’agosto qualunque (p.34), o In Suggestione notturna e Il passo dei morti (p. 54 - 55). Il senso del tempo che scorre ciclicamente nel mondo naturale, mentre nella vita individuale manca un perpetuo rinnovarsi, permea di sé molti versi, peraltro costruiti e creati in forma originale. Esemplare la poesia Come di sterpi (p.45) che sembra suggerire un senso quasi di ‘cupio dissolvi’ ritmicamente espresso dal triplice ripetersi della stessa parola (“piangere piangere piangere”, “andare andare andare “), dalla triplice anafora di ‘per’ e dal climax semantico di ‘sfinirsi sciogliersi liquefarsi svanire’.

Quello che convince ed è, a mio parere, apprezzabile è proprio l’uso delle parole, del loro ordine, suono, significato ovvero un gioco, solo apparente bensì sapiente, che dimostra una personale e originale padronanza delle cosiddette ‘figure retoriche’, quelle antichissime inventate dai greci e riprese dai latini, che non a caso hanno dato loro i nomi con cui sono universalmente conosciute (metafora, ossimoro, allitterazione, anafora, enumerazione, etc. ), ma senza le quali non esiste poesia e nemmeno creatività vera, perché non esiste ritmo, musicalità, estro, simbiosi tra contenuto e forma.

E nelle poesie di Semi nudi questo gioco di figure c’è, così come un uso libero del verso e della sua spaziatura, caratteri che si abbinano e sposano con quello che l’Autrice sente e vuole esprimere, con il tormento sottile e insieme la voglia testarda di vincere la malinconia e vivere il tempo di vita che resta così come sarà, con una sofferta ma conquistata ‘serenita’ e ‘misura’, parole che pervadono altre poesie ( p 77, 92, 108), non a caso anche in riferimento al valore della poesia come esercizio liberatorio. La poetessa scopre finalmente la sua anima, specie nelle successive sezioni, la riconosce e le toglie quella maschera di ghiaccio che ha descritto nella poesia Islanda (p. 85) e messo pian piano a fuoco nella poesia La matrioska. CIATRE

I tanti volti, ruoli, finzioni della donna Franca - e di tutte le donne sempre – si aprono una dietro l’altra proprio come nella bambola russa e lasciano il posto ad una Sibilla del Sogno, titolo dell’ultima sezione, in cui la donna matura si sente ‘ricongiunta‘ a quella bambina nel verde della sua campagna e che se, a tratti ‘de-lira’ (ossia, secondo l’etimo antico, esce dal solco), niente altro fa che esprimere finalmente la sua libertà, il suo andare “decisa” nel bosco della vita, sperimentando forme poetiche originali.

Un cammino intrapreso dall’autrice tra smarrimenti, lotte, ideali, per giungere al difficile “osso delle cose’ (Bisogna crederci, p. 76), al lavoro in silenzio del cervello, grazie proprio ai tanti amati libri (a cui dedica l’intensa poesia Amico libro p. 87), al viaggio nella poesia sua e di altri autori italiani e non, magari Leggendo poesie alle quattro del mattino (p. 90), rischiando anche di esser presa per “romantica” o “folle cavalla nella notte” (Follia magica, p.99). Sicuramente un cammino percorso con slancio, a volte con ingenuità, spesso con delusioni nelle pieghe della storia collettiva.

Prima di giungere a questa meta Franca Canapini ha dovuto ripercorrere nella sezione Con dedica le tappe del suo rapporto con i figli, il marito, i giovani di ieri e di oggi, le sue battaglie contro il nucleare, contro le fedi intolleranti dei Foreign fighters, lo sfruttamento del lavoro, l’umiliazione degli emigranti e la sua profonda comprensione e appoggio per le “anonime madri di famiglia”, mai vestite di lustrini ma tanto utili alla società (p. 73). Valga per tutte le poesie di questa sezione citare Chiedilo al ciliegio, che nella prefazione Fernanda Caprilli definisce a ragione “una delle più belle poesie della raccolta”.

Una raccolta, Semi nudi, certamente condotta sul filo della autoreferenzialità, del bilancio di vita personale di chi, giunto alla soglia dei settanta anni, delinea lucidamente l ‘occasione di vita’ rimanente - Kairos in greco come l’omonima bellissima poesia a p. 40 - ovvero quella striscia di sabbia da vivere “in un’onda lenta”, “aspettando che qualcosa passi / che qualcosa accada / che qualcuno torni”, come un pescatore esausto che non vuol sapere il ‘pesce della quantavita che ci rimane”.

Come non riconoscersi, almeno per quanto riguarda gli esponenti della sua stessa generazione, in tanti di questi versi? e come, nella veste non tanto di critico letterario ma di poetessa, non sentire consonanza con le sue tematiche? l’attenzione per l’ambiente e la natura, la passione per la scrittura poetica, la sensibilità per gli altri, il disincanto per le ideologie, ma in particolare la consapevolezza del tempo trascorso, quel “tempo che trasforma” con cui chi scrive ha dato titolo ad una poesia e poi al suo ultimo libro.

Lasciando a chi vorrà il piacere di leggere questo libro, citiamo a conclusione tre versi in cui è bello riconoscersi perfettamente, tratti da Ape con zinnia gialla (p. 30) in cui l’ape, sulla scorta anche qui pascoliana, è il poeta stesso:

Ho dato e dato – magari errando a volte

ma senza risparmio di me stessa,

per amore, sempre”.



Patrizia Fazzi





 
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