Doctor
Faustus – Thomas Mann – Mondadori –
Pagg. 812 – ISBN 9788804676843
– Euro 16,00
Pro
patria
Se
il massimo poema della letteratura tedesca è il “Faust”
di Goethe, il suo massimo romanzo è allora il “Doctor
Faustus”, non perché fra i due ci sia un senso di
continuità legato al mito tedesco dell’uomo che sigla un
patto con il diavolo, quanto perché la continuità è
data dall’espressione artistica che sfruttando quel mito
ambisce all’empireo della perfezione formale e
contenutistica.
Richiamare
il diavolo e la sua pericolosità e con esso le velleità
umane e i suoi mortali limiti, inscenando la vita di un musicista, il
compositore tedesco Adrian Leverkühn, raccontata a mo’ di
biografia dal suo caro amico, Serenus Zeitblom, è il modo che
Mann, ormai settantenne, si riserva fra il 1943 e il 1947, quando, a
guerra finita, la sconfitta della Germania nazista fa provare solo un
profondo senso di smarrimento accompagnato da un lamento d’amore
per la propria patria.
Patria,
l’ultima parola del romanzo.
Eppure
l’opera, ci ricorda Ervino Pocar, traduttore e curatore
dell’edizione da me letta (ristampa anni ‘80
dell’edizione Mondadori del 1949), non fu affatto ben accolta
dai tedeschi che accusarono il suo autore di ipocrisia nella
rappresentazione del lutto nazionale, avendo egli preso le distanze
dalla sua nazione che vedeva lucidamente destinata ad una pericolosa
deriva.
Come
poteva un antinazista cantare ora il lamento funebre più
straziante?
E
invece questo è, agli occhi di chi scrive, il messaggio più
profondo dell’opera: la rappresentazione di un’apocalisse,
quella del mondo germanico, che va di pari passo con l’opera
alla quale lavora il folle musicista, un oratorio apocalittico
appunto intitolato “Lamentazioni del dottor Faust”. La
rappresentazione del destino tedesco è però tutta
affidata al caro amico Serenus che alla morte del grandissimo
artista, nel 1940, decide di raccontarne la tragica vita, riferendosi
continuamente alla storia del presente e alla sua dissoluzione le cui
radici vengono però situate nel passato recentissimo, vissuto
anche da Adrian quando la Germania, in conseguenza della sconfitta
della prima guerra mondiale, cercò di divenire repubblica
senza riuscirci e facendo di fatto nascere un abominio
dittatoriale.
Il
parallelo fra i due periodi della storia nazionale è solo una
delle tante stratificazioni presenti, il resto è infatti una
complessità nutrita da una vicenda narrativa che vive di pochi
elementi sapientemente gestiti dalla voce narrante la quale fa
abbondante uso di anticipazioni creando di fatto curiosità
verso gli scarsi elementi narrativi mentre il lettore arranca, come
solito in Mann, fra disquisizioni riguardanti soprattutto l’arte
e il ruolo dell’artista, senza trascurare l'erudizione pura
riguardante prevalentemente aspetti strettamente legati al linguaggio
musicale, dalla dodecafonia in poi.
Una
lettura molto impegnativa, certo, ma che ripaga con una scrittura
sublime che si nutre di ritratti precisi, ricchissimi di particolari,
care vecchie descrizioni a ricordare l’impianto ottocentesco
del romanzo, digressioni quasi monografiche come quella dedicata a
Beethoven, o ancora moniti pedagogici che fungono da chiara guida
ideologica nutriti come sono dalla convinzione che solo la cultura
possa salvarci dalle barbarie.
Libertà,
ragione, umanità. Vi occorre altro ?
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