Il
romanzo storico nel XIX secolo
di
Renzo Montagnoli
Fra
i generi letterari del romanzo c’è anche quello storico,
un autentico ibrido, laddove si consideri che in parte è
frutto di pura invenzione spesso innestata su una realtà
storica. Nasce da un compromesso fra l’autore e il lettore: il
primo si basa su un evento o più eventi di un’epoca e su
personaggi della stessa epoca per costruire una trama esclusivamente
di fantasia, ma non in contrasto con quei fatti o quei protagonisti;
il secondo è consapevole che non si tratta di un saggio
storico, ma di una narrazione che prende spunto dalla storia per
intessere una trama sì di fantasia, ma nel pieno rispetto
della base reale su cui si è sviluppata.
Questo
genere nasce e conosce un grandissimo successo nel XIX secolo, con un
capostipite anglosassone, Waverley dello scrittore Walter
Scott. Se Waverley, ambientato nel 1745 durante la rivolta
giacobita, è oggi poco conosciuto, assai più famosi e
anche ancora attualmente piuttosto noti sono Rob Roy (è
la vicenda del recupero di un debito) e Ivanhoe (opera
ambientata in pieno Medioevo, nel conflitto fra Sassoni e Normanni),
entrambi dello stesso autore, di quel Walter Scott che fu
indubbiamente eclettico e che morì per un colpo apoplettico
probabilmente dovuto all’eccesso di lavoro – e per lavoro
si intende lo scrivere romanzi e racconti – per poter onorare,
con i proventi, i suoi notevoli debiti.
Quindi
è possibile dire che il genere nasce in Gran Bretagna grazie a
questo indebitato narratore scozzese, che in quel secolo resta anche
il più famoso, e probabilmente lo è ancor oggi.
E
nel resto d’Europa?
Il
romanzo storico si sviluppò con crescente successo anche in
Germania, grazie a Ludwig Restalb con il suo 1812, come pure
in Russia, dove dalla penna di Alexander Puskin nacque La figlia
del capitano, ambientato nel Settecento allorché regnava
la zarina Caterina II.
Il
paese però in cui la diffusione fu maggiore è la
Francia e ciò grazie a narratori, come Alexandre Dumas
(padre), Stendhal, Honoré de Balzac, Gustave Flaubert, Emile
Zola, Victor Hugo.
E
l’Italia?
Nel
nostro paese, votato ad affrancarsi dallo straniero dominante, fu
tutto un fiorire di romanzi in cui si parlava delle vicende italiane
dal Medioevo fino appunto al 1800, ma si trattò di opere di
modesta levatura, scritte da autori altrettanto modesti, lavori di
cui in pratica si è persa memoria. Per fortuna che ci fu
Alessandro Manzoni, con in suoi Promessi sposi, senza dubbio
uno dei migliori romanzi storici al mondo. Nella sua scia poi
troviamo Massimo d’Azeglio, con il celebre Ettore
Fieramosca, Tommaso Grossi con Marco Visconti, Cesare
Cantù con Margherita Pusterla, Ippolito Nievo con Le
confessioni di un italiano.
Insomma
se non fu un narratore del nostro paese a dare vita al genere, è
invece indubbio che da noi ebbe un grandissimo sviluppo.
Oggi
il romanzo storico è fra i più apprezzati e ha dato
vita a un ulteriore ibrido, quello del giallo storico, capace di
attrarre maggiormente il lettore grazie alla tensione derivante dalla
ricerca del colpevole di un gravissimo reato.
Non
mi azzardo a parlare della produzione da inizi ‘900 ai giorni
nostri, tanto è ampia da necessitare di ben più di
poche righe, il che dimostra il crescente successo del genere, che
personalmente amo in modo particolare.
Nota:
l’immagine è il ritratto di Walter Scott.
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