I
piccoli maestri - Luigi Meneghello - Rizzoli -
Pagg. 272 - ISBN 9788817061186
- Euro 12,50
"Non
eravamo mica buoni, a fare la guerra"
Nella
tradizione della letteratura resistenziale questo scritto di
Meneghello si pone, è riconosciuto da tutta la critica, in posizione
molto originale. In primo luogo perché la scrittura non è
immediata, il recupero dei fatti vissuti sull´Altopiano di Asiago
avviene quasi un ventennio dopo, il libro fu infatti scritto nel
1963; in secondo luogo perché l´identità di chi scrive,
ricordando, ha subìto una naturale evoluzione: Meneghello non è più
un giovane acculturato che è salito sull´altopiano con i suoi
amici vicentini per fare la guerra civile, ora è un professore
universitario in Inghilterra. La sua memoria filtra il vissuto a
debita distanza con l´intento dichiarato di "dare un resoconto
veritiero dei casi miei e dei miei compagni negli anni dal `43 al
`45: veritiero non all´incirca e all´ingrosso, ma strettamente
e nei dettagli" (nota al testo in seguito alla revisione del sett.
1974 - aprile 1975).
Una
cronaca stringente, particolareggiata ma anche frammentaria, quasi
una giustapposizione di episodi scritti a partire dagli anni
cinquanta e con estrema difficoltà, una difficoltà causata dal
ricordo ancora vivo e pungente di una guerra mai cercata e voluta ma
che lo ha attratto irrimediabilmente, stregandolo negli aspetti più
violenti e di conseguenza segnandolo. La scrittura troppo precoce mal
si sarebbe saldata con la rielaborazione intima dei fatti vissuti che
non erano stati ancora elaborati. Quando poi è sopraggiunta la
scrittura, lo sforzo più grande per Meneghello è stato quello di
dargli una struttura narrativa rimanendo però fedele alla sua
visione antiretorica.
La
narrazione si apre con la ricerca di una scafa sotto il Colombara,
Meneghello è in compagnia di una ragazza che ha trascinato
sull´Altopiano per ritrovare oggetti lasciati nel pertugio sotto
terra durante un rastrellamento, all´apice della sua partecipazione
alla guerra civile: un libretto e il "parabello". Li trova
e in quell´atto si conclude la sua guerra, "tutta una serie di
sbagli"; all´emozione subentra la comprensione degli eventi e la
capacità di lasciarli andare, per quelli che sono stati,
congedandoli finalmente. Trovare il "parabello"abbandonato
coincide con il capire di aver vissuto una guerra anomala a cui non
erano affatto preparati: "non eravamo mica buoni, a fare la
guerra".
É
dunque ora di raccontarla questa non guerra, questa frattura
all´indomani dell´armistizio. Anche qui, come in Fenoglio, è
chiaro il senso di sbandamento provato dalla nostra gente, Piemonte o
Veneto non fa differenza. I renitenti alla leva, la gente comune che
li aiuta e vuole voltare pagina, gli irriducibili fascisti, la
ricerca di un nuovo inizio, lo scivolare deciso verso la
clandestinità. E i giovani che precocemente diventano vecchi senza
essere stati giovani e salgono in montagna. E la montagna qui è
l´Altopiano. Protagonista assoluto, essenza intima della
narrazione, un luogo dell´anima capace di aprire scorci descrittivi
evocativi e di calmare l´animo inquieto, teso, eccitato da eventi
fuori dall´ordinario, incomprensibili mentre li si vive.
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