Il
giardino dei ciliegi - Anton Cechov - Rizzoli -
Pagg. 135 - ISBN 9788817013314
- Euro 8,00
La
fine di unŽepoca
Secondo
tentativo che faccio, a breve distanza dal primo, con il teatro di
Anton Cechov (1860-1904), ma anche stavolta non sono stata catturata
pienamente dallo stile di questo grande nome della letteratura russa,
cosa che mi dispiace molto poiché era da tanto che desideravo
leggere "Il giardino dei ciliegi".
Dopo
aver letto questo e, ancor prima, "Tre sorelle", posso dire di
trovare la scrittura di Cechov chiassosa e dispersiva, affollata
assai spesso di personaggi che - per lo meno ai miei occhi -
tendono a confondersi.
E
tra i personaggi, appunto, non ne ho visti di memorabili al pari di
quelli creati da altri autori che, dal teatro antico a quello
contemporaneo, passando attraverso quello del mitico Goldoni, ho
amato parecchio.
Tuttavia,
dei quattro atti di cui si compone "Il giardino dei ciliegi" ho
apprezzato alcune scene, tra cui in particolare quella finale nella
quale il cameriere ultraottantenne Firs, ormai malato, si ritrova
solo in casa, dopo che tutti sono partiti per sempre, mentre le scuri
iniziano ad abbattersi senza pietà sugli alberi del giardino; ed è
costui a pronunciare unŽamara considerazione, del tutto
condivisibile, che sembra rammentare il nostro dramma di esseri
umani: "La vita è passata, e io... è come se non lŽavessi
vissuta."
Rappresentata
per la prima volta, a Mosca, allŽinizio del 1904 (lo stesso anno in
cui morì lŽautore), lŽopera pone al centro della
rappresentazione i cambiamenti sociali dellŽepoca, con la decadenza
di classi un tempo agiate e lŽavanzare di quelle che si sono
arricchite di recente (impersonate, rispettivamente, da Liubòv
Andriéievna con i familiari e il commerciante Lopachin) e ora
possono acquistare addirittura grandi proprietà, finite allŽasta
per debiti, dove gli antenati erano stati schiavi. Insomma, un mondo
che finisce per sempre, mentre il nuovo inesorabilmente avanza,
preludio dei grandi stravolgimenti che si verificheranno con la
rivoluzione anni dopo.
Laura
Vargiu