STÉPHANE MALLARMÉ
IL MISTICISMO DELLA
POESIA
di Fabrizio Manini
Per Mallarmé
(1842 - 1898), così come lo era stato per Baudelaire e per Rimbaud, l'assoluto e il linguaggio sono i due
cardini su cui si fonda il concetto di poeta e di poesia. Tuttavia però la
conquista del primo non avviene tramite il deragliamento dei sensi proposto da Rimbaud, tantomeno mediante la ricerca di paradisi
artificiali baudeleriana;
quella conquista ha luogo attraverso una tragica lotta giornaliera combattuta
contro l'oggettività delle cose insieme a un linguaggio che sembra impotente e
quasi sterile. La lettura de I fiori del male di Baudelaire lo sconvolge e lo segnerà per il resto
della vità; da questo libro
apprenderà il culto per la bellezza, la presenza costante di simboli
nell'universo, la capacità critica nel produrre poesia. Le modalità di
rappresentazione della realtà usate fino a quel momento (poesia parnassiana e naturalista) vanno
strette a uno come Mallarmé perché possono
rappresentare soltanto l'apparenza fenomenologica,
cioè un dato meramente oggettivo che riflette la contingenza senza preoccuparsi
minimamente dell'essenza delle cose nella loro più profonda e concreta
intimità. In altre parole l'esigenza avvertita da Mallarmé è ripensare il ruolo del poeta, nonché i
temi e le tecniche espressive. Per far questo egli conferisce alla poesia una
funzione conoscitiva oltremodo ambiziosa, tipica della ragione e della scienza,
vale a dire decifrare il mistero dell'universo contenuto in maniera
frammentaria nell'anima delle cose.
Così Mallarmé
definisce la poesia: la voce, attraverso
il linguaggio umano ricondotto al suo ritmo essenziale, del senso misterioso
degli aspetti dell'esistenza; essa rende così autentica la nostra vita e
costituisce il solo compito spirituale. Al poeta affida una mansione
demiurgica e creativista,
quasi parificata a quello di Dio, e lo fa dicendo che il Signore delle lettere deve creare con pazienza d'alchimista la Grande Opera
per dare la spiegazione orfica della terra la quale [spiegazione ndc] è il solo dovere del poeta e
il gioco letterario per eccellenza. Nel solco tracciato dagli altri
simbolisti il poeta deve ricercare oltre la realtà, deve guardare all'ideale e
all'assoluto discostandosi dal relativo e dal contingente, deve spazzare via le
apparenze in uno sforzo voluto dalla coscienza, uno sforzo intellettuale e
disperato al tempo stesso. Questa è l'unica via che avvicina al senso dell'universo.
Ma questa stessa ascesa, o forse discesa, irrimandabile ed esplicatoria, ma anche folle e sovrumana porterà il
poeta nelle zone rarefatte
dell'indefinibile, delle vuote idealità, del nulla. Il poeta deve rompere il legame con la realtà per dipingere
non la cosa, ma l'effetto che produce. Il verso non deve dunque comporsi di
parole, ma di intenzioni. L'elemento di rottura e di novità introdotto da Mallarmé è che il poeta deve
attuare quanto detto con le sue forze e cercare in sé la volontà all'azione
(niente alcool, niente droga, nessuna rivolta in senso stretto). Per evitare il
rischio di banalizzare i versi occorre conferire loro quella che Mallarmé chiama rarità e che consiste in una
purificazione del linguaggio quotidiano proponendo parole nuove, anche nella
loro grafia etimologica, quasi vergini, termini evocativi che creano risonanze,
impressioni, analogie e molteplicità di significati. Sul fascino misterioso
della poesia Mallarmé ci
dice quanto segue: i parnassiani ci presentano l'oggetto nella sua
interezza, per questo essi mancano di mistero; infatti privano la mente dell'affascinante gioia di
credere che essa sta creando. Definire
interamente un oggetto è vanificare i tre quarti del godimento della poesia,
che è dato dall'intuire a poco a poco; suggerirlo, questa la straordinaria
magia della poesia; evocare a poco a poco un oggetto per suggerire uno stato
d'animo.
Non sono più sufficienti l'analogia, la sinestesia e il fonosimbolismo introdotti da Baudelaire; occorrono tecniche nuove.
La frase deve essere rotta nella sua linearità discorsiva e
ridotta alle sue strutture portanti, meglio ancora al frammento. Bisogna
sempre tagliare l'inizio e la fine di ciò che si scrive, elidere le
connessioni più ovvie e scontate. I periodi devono diventare frasi atomizzate,
in modo che ogni parola, resa il più possibile indipendente sintatticamente,
riluca a sé della propria luce. La cosa originariamente nominata all'inizio di
una poesia, viene spostata e
nominata in un altro punto, più tardi, in maniera che l'inizio resti libero di
esprimersi in un modo distaccato dalla cosa. Ovvero, se una cosa era apparsa
prima nella sua interezza semplice e consueta, nelle redazioni successive si
frantuma in isolati dettagli plurivalenti. Sempre più ristretto diviene il
numero dei motivi, sempre più tenue e lieve il mondo delle cose concrete e, in
maniera inversamente proporzionale, sempre più anormale diviene il contenuto. Tutto
dunque deve procedere verso la purezza, per eliminazione e condensazione.
Questo il procedimento: da una prima stesura discorsiva di un testo, si passa,
per successive e numerose rielaborazioni, a tagliare ogni pur minimo residuo
rimasto, a distillare le parole con una pazienza d'alchimista, a
condensare sempre più, fino ad arrivare, da parecchi vocaboli, a una parola
totale, nuova, estranea alla lingua. È una lotta tormentosa verso l'essenziale,
fino ai limiti della pagina bianca, del silenzio; e il silenzio diviene l'unica
forma espressiva adeguata all'assoluto. La frase che esce dal laboratorio di Mallarmé è tutta giocata di
inversioni grammaticalmente ingiustificate, di ellissi, di accostamenti
imprevedibili, di inusuali scorporazioni sintattiche. E invertire, scorporare,
elidere, frammentare il periodo, insomma fare della poesia un puzzle significa,
da un lato, rompere i tradizionali legami di linearità e logicità con cui
leggiamo e cogliamo il reale e, dall'altro, ritrovare una parola a tal punto
isolata e slegata da ogni rapporto logico con le altre da trasformarsi in
simbolo. Con un componimento ridotto a frammento e vicino al silenzio, con una
parola ridotta a qualcosa di raro, di originario, a una purezza rarefatta e
assoluta, Mallarmé intende
immettere la poesia sul sentiero dell'oscurità, di una incomprensibilità ermetica che la preservi
dall'empietà del profano e la lasci pura, incontaminata e sacra al
predestinato. Mallarmé
lamenta che alla poesia, alla più grande delle arti, finora sia stato negato il mistero,
per cui anche i primi venuti entrano senza alcuno
sforzo in un capolavoro; lamenta che da quando ci sono i poeti non è
stata inventata, per allontanare gli importuni,una lingua immacolata, delle
formule ieratiche, il cui studio difficile acciechi il profano… O gli inviolati geroglifici dei
rotoli di papiro!
È anche
questo un modo di reagire alla società borghese.
Riferimenti bibliografici:
Treré S. & Gallegati
G. (1990). Nuovi itinerari nella comunicazione letteraria. EBF.