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  Letteratura  »  Luciano Recchiuti ha recensito Fiori e fulmini, di Cristina Bove – Edizioni Il Foglio 19/10/2007
 

 

 

Fiori e fulmini

 

di Cristina Bove

 

Prefazione di Renzo Montagnoli

 

Immagine di copertina di Cristina Bove

Elaborazione Grafica di Elena Migliorini

Edizioni Il Foglio

http://www.ilfoglioletterario.it/

ilfoglio@infol.it

Collana Autori Contemporanei Poesia

Diretta da Fabrizio Manini

Poesia – Silloge

Pagg. 180

ISBN: 978 - 88 – 7606 – 163 – 9

Prezzo: € 15,00

 

 

     Più che una Silloge si tratta di un autentico spaccato di vita, una lunga sequela di odi poetiche apprezzabili stilisticamente e contenutisticamente, che parla a favore della forza interiore e delle capacità espressive di Cristina Bove.

     La prima lettura invita subito a una segnalazione, un consiglio, più che altro: un libro che racchiuda il meglio della raccolta, che veda la luce al più presto per non disperdere nel tempo la voglia di fare.

     Perché Cristina è poeta vero, che sa coniugare stile e interiorità, malesseri e gioie dell'anima con il gusto di raccontare in rime sciolte libere e liberate da pastoie metriche: gli scritti sono il dettato del cuore.

     Anche se redatte evidentemente in epoche diverse (magari non lontanissime), cambia poco lo stile sempre a Lei riconducibile che si evolve nel tempo, che matura insieme alla sempre accurata scelta delle parole, delle figure retoriche, delle metafore efficaci con le quali cela il vero ed esalta il sogno (e viceversa).

    Il tutto si accompagna, quale precisa scelta dell'autrice, all'assoluta mancanza di punteggiatura, lasciando alla naturale musicalità del verso il centro del raccontare.

Questo fa sì che in talune poesie i “pons”, i giochi di parole, riescano a esprimere con leggerezza sentimenti ed emozioni (vedi “Ad una ad una”), padroneggiati saldamente e parte di un lessico di valenza costante ed evoluta.

     Così come “Al raduno”, surreale visione che colpisce per originalità e tematica (una “vecchiaia vista alla rovescia”, se mi si consente l'espressione), nella quale si affaccia improvvisa la persa gioventù da quelle stesse vesti prima occupate da corpi cadenti, nell'esaltazione dei doni fantastici della “vita” e del “nuovo”.

     Poesie libere e liberate, dicevo, depurate dagli orpelli del fatuo e dell'inutile e pregne invece di significati sottili e di un “segno” leggero che tutta la contraddistingue. La disposizione stessa delle parole sul foglio assicura ritmo alle intime scelte del poeta e significato spesso mutevole, in un esercizio non facile sospeso sul baratro della banalità (senza “scivolate” significative).

     In “Brulicava di luci” “leggera filigrana ondeggia sopra gli archi lunari e ne accarezza di rami flessi le colonne attorte”. E ancora “s'azzardano le mani a carezzare un ricordo di sogno fatto d'acqua”. La leggerezza si fa parola, la parola asseconda il moto consolatorio dell'anima.

     Mi piace citare ancora “E condurrò” per le visioni evocate, vive e allucinate, contorte e avviluppate l'una all'altra dell'Equatore, del Sole, di Lune “corrusche” , di un Fiume dalle tracce d'oro, del Tempo che consuma, dell'Ombra incisa nella notte. Fiori di un giardino sconfinato, verde a dismisura come una valle piena di coloratissime farfalle stralunate.

     Piacevoli le liriche in cui trionfa l'amore, in cui il gioco delle parole trascende l'oggetto del desiderio fino a sublimarlo, angelicandone la figura, ripulita dallo sporco delle ali al contatto con il terreno. Lo stile è sorretto da una scrittura mai scarna, pur se tendente all'essenziale, densa di significati e silenzi mai domi che si trasformano in immagini vissute.

     Amore, etica e spiritualità vanno a braccetto, nel figurare l'Eterno che occhieggia come in un gioco di ombre cinesi, soprattutto nei versi dettati dalla solitudine e dalle grida talvolta disperate dell'Autrice. Delicata e pudica nel raccontare momenti intimi, come in “Figli”: ”attraverso me ci siete – ora siamo tutti insieme” .

     Poesia moderna che si nutre d'antico, epopee del Mito che hanno radici all'insù, nel presente, mentre più rade le immagini ispirate al futuro, che si apre improvviso nella lirica “I ragazzi”, “corpi fatti di musica e richiami”, “futuri genitori dei nuovi figli liberi dal tempo”.  Particolarmente efficaci le liriche brevi, nelle quali è un singolo pensiero a volare, sintesi e compendio dell'essere, sempre rifuggenti dall'apparire.

     “Sono viva perché nella mia notte qualcuno accese un sogno di poesia”  (in “Ho visto la città “ : è la poetica della Bove, l'alfa e l'omega, il suo rapporto con la realtà e le tante domande che spesso scaturiscono dal rapporto (talora irrazionale) con essa. Come giudicare altrimenti, infatti, la spietata disamina di Homunculus”, che coniuga l' “orribile visu” descritto con la presenza di “esseri lievi e tenui come veli assorti nei ricordi d'altri Cieli” ?

     Lo stile asseconda i concetti, si fa Poesia Visiva in “Incantesimo”, dove crea delle dissolvenze di forma e contenuto, in quel “niente” che piano si scioglie e si asciuga come una lacrima al sole, simbolo di un destino terribile ma non disperato. Non c'è mai autentica perdizione nella poesia di Cristina: più spesso accettazione e la tendenza a fare delle parole insegnamento e saggia morale, impalpabile e diafana, sul limitare estremo delle liriche. Come in scritti d'altri tempi, o romanzi d'appendice.

     La forza del “sé” prorompe dall'interno come un geiger con la maturità del vissuto, come un dono che consoli e sveleni i sentimenti meno nobili: sentire nel cuore la dolcezza della musica amando chi la suona” (“La Saggezza).

     Stringendo le file di questa lunga disamina (tante erano le poesie e articolate), è possibile riconoscere l'elemento vincente della Silloge nella concretezza del Sogno, che si esprime con particolare forza commentando la stanchezza del ballerino con una semplice constatazione “Quanto gli può costare un paio d'ali ?”

     Sì, Cristina, è lì il segreto della vita, saltare gli ostacoli a piè pari con le giuste soluzioni.

     Bella “prova d'autore”, in cui il poeta è nudo di fronte ai temi che tratta, affetti, amore, famiglia, tempo, visioni cosmiche e naturalistiche, stati d'animo, ricordi e sogni. Le ultime liriche gettate sulla carta quasi con rabbia e sentimenti contrastanti: “Sulla sabbia”, “Nuovi faraoni”, Siamo noi”, “Sogno”, “Volo”.

     Nulla manca in questa Silloge, neanche i brividi che ci destano “le tredici Lune”,  “la scienza assoluta e beffarda”, e la morte che ci penetra dentro nella poesia “Volo”, ove “quel che resta nella carlinga è notte….(mentre)….fuori è l'alba”.  

     Al lettore (e al critico) il dispiacere che le righe scritte siano finite, e trionfi il bianco del foglio che ottunde gli occhi, nel ricordo della condivisa e partecipata lettura.

 

                                               Luciano Recchiuti

 

 
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