SUI SOGNI DI ADORNO, FIDO MAESTRO SOSTITUTO
di Carlo Bordoni
La scomparsa di Theodor
Wiesengrund Adorno, principale animatore della Scuola
di Francoforte (assieme a Max Horkheimer), avvenuta
nel 1969 a
Visp, ha coinciso significativamente (e forse persino
fisicamente) con la massima esplosione della rivolta studentesca, che aveva
preso l'avvio nel '68 col maggio francese. La sua vita, come ha ricordato
Ranieri Polese sul “Corriere della Sera” del 5
ottobre – era segnata da un'angoscia profonda, da un'insoddisfazione radicatasi
in lui fin dagli anni Trenta, in coincidenza con l'abbandono della
Germania nazista e l'esilio negli Stati Uniti dove, differenza di altri
profughi (a cominciare da Leo Löwenthal), non si era
mai sentito a casa.
Valeva, per Adorno, quanto scritto da
György Lukács negli anni
duri dello stalinismo. Lukács aveva accusato i filosofi tedeschi
d'indifferenza; di essersi sistemati nell'Hotel Abisso, “un elegante e moderno
hotel, fornito di ogni comodità, sull'orlo dell'abisso, del nulla e
dell'assurdità. E la vista giornaliera dell'abisso, fra piacevoli festini e
produzioni artistiche, non può che accrescere il gusto di questo confort raffinato” (Teoria del
romanzo, 1954). Un'accusa che aveva ferito Adorno, al punto da lasciargli
un segno indelebile.
E anche dopo la
guerra, una volta tornato a Francoforte, dove iaveva
ripreso l'insegnamento, continuava a provare disagio per non essere stato
presente alla tragedia del nazismo. Quasi un senso di colpa nei confronti di
chi non era stato altrettanto fortunato, come l'amico Walter Benjamin, suicida nel 1940 per sfuggire ai nazisti. La
ripresa del lavoro universitario non era stata facile. Il contatto con gli
studenti, soprattutto negli ultimi anni, si era fatto doloroso, conflittuale.
Il loro radicalismo mal si coniugava con la teoria critica, con l'analisi
aristocratica che denunciava i mali della società tenendosi in disparte,
rinunciando a ogni prassi politica. Eppure dalla stessa scuola francofortese era uscito Herbert Marcuse, il cui L'uomo a una dimensione (1964) era
divenuto in breve tempo il vademecum ideologico delle nuove generazioni.
Gli studenti sono ingenerosi.
Rifiutano la sua lettura della società, gli impediscono di fare lezione e lui
reagisce in maniera scomposta, chiamando la polizia: gesto disperato, che si
dimostra suicida per un uomo di sinistra e la dice lunga sulle sue condizioni
psicologiche agli inizi del '69. Un altro episodio increscioso si era registrato
durante le sue lezioni di filosofia tra il 1962 e il '63, raccolte poi col
titolo Terminologia filosofica (1973), dove aveva scatenato
contro Heidegger una critica feroce e persino
eccessiva nei toni, al punto da suscitare la protesta degli studenti e a
costringerlo a rispondere, dalla cattedra, con una difesa d'ufficio, indicativa
di una difficoltà crescente.
Adesso la pubblicazione, a quasi quarant'anni dalla sua morte, della straordinaria raccolta
dei suoi sogni (Sui sogni, a cura di Michele Ranchetti,
Bollati Boringhieri, 2006), contribuisce a mettere a
nudo la sua personalità complessa: l'unico filosofo a confessarsi liberamente,
narrando i particolari più intimi del suo privato, quasi lasciandosi andare sul
lettino dell'analista freudiano. I Traumprotokolle,
editi da Suhrkamp, che ha pubblicato l'opera omnia
del pensatore tedesco, ci fanno conoscere i suoi lati oscuri, avvicinandocelo
più di quanto riescano a fare i saggi filosofici e sociologici, musicali e
letterari, spesso di difficile interpretazione, come l'ostica Teoria
estetica (1970), rimasta incompiuta.
Tra le apparizioni più ricorrenti c'è
quella di un'affascinante attrice di Monaco, più giovane di lui di 34 anni,
definita la “bella bimba”, di cui mantiene un ricordo dolce e inappagato, tanto
persistente da accompagnarlo fino a quel fatidico 6 agosto del 1969, in cui viene stroncato da un infarto, dopo un'escursione in
montagna. Non c'è traccia, nei suoi sogni “pubblici”, di un altro amore
proibito, questa volta di natura omosessuale, vissuto con Sigfried
Kracauer e svelato da Cesare Cases
nelle sue Confessioni di un ottuagenario (Donzelli, 2003).
Ma Adorno, per dirlo con le parole di
Cases, “ha il grande merito di aver traghettato la
speranza, un lume fioco, in un'epoca in cui sembrava estinto… reggendolo sulle
sue fragili spalle”. Uno dei più grandi pensatori del Novecento, quello che,
meglio di altri, ha denunciato le ambiguità della cultura di massa e i pericoli
dell'industria culturale governata dai grandi poteri economici. Resta sempre il
“fido maestro” di un tempo, che nessuno è stato ancora in grado di sostituire.