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  Letteratura  »  Vittorio Sereni L'osservatore solitario, di Fabrizio Manini 01/05/2008
 

VITTORIO  SERENI

L'osservatore solitario

a cura di Fabrizio Manini

 

Vittorio Sereni viene universalmente definito dalla critica come il poeta di una generazione di frontiera. Il suo primo libro, intitolato appunto “Frontiera”, vede la pubblicazione due anni dopo “Le occasioni” di Montale, del 1939. Il titolo, che già nella sua identità si presta a molteplici interpretazioni, esprime da subito e in maniera sintetica la posizione del poeta all'interno della poesia italica: con un atteggiamento di distaccato interesse, Sereni si ritaglia una collocazione appartata, ma comunque impegnata, isolata e tuttavia attenta a ciò che accadeva intorno, con un modo di fare tipico di colui che ha ben appreso l'insegnamento poetico dell'Ermetismo. La sua posizione trasversale diverrà entro breve tempo il simbolo di una scelta letteraria ancora più nuova, poiché rappresenta la volontà di creare qualcosa di diverso rispetto al già innovativo Novecento italiano. Le caratteristiche di base del suo esordio poetico saranno sempre presenti in tutta la sua produzione e in ogni periodo della sua vita, in particolare quello del maggiore impegno sociale e della più ampia creatività, dalla fine della seconda guerra fino al 1983, anno della morte. Sereni viene oggigiorno annoverato fra i maggiori poeti italiani moderni e contemporanei; se non fosse prematuramente scomparso avrebbe certamente conteso a Mario Luzi (Firenze, 1914) la candidatura al premio Nobel. Ad ogni modo rimane sempre il portavoce di un particolare momento della poesia italiana in cui manca alle personalità letterarie il supporto di una generazione solidale, capace di reagire con decisione allo sconforto della guerra e agli eventi tragici della storia.

Fin dai suoi primi scritti Sereni non appare un ermetico puro, piuttosto lo si può definire originale, forse un po' eccentrico o stravagante, ma comunque lirico e pensoso: l'ispirazione la trova nella realtà, anche se da essa si allontana per cercarne l'essenza e il significato. Questo atteggiamento esistenzialistico torna prepotente anche nelle due raccolte successive, “Diario d'Algeria” e “Gli strumenti umani”: l'autore scrive di se, degli incontri, delle esperienze e dei propri fallimenti, ma tutto questo non per egocentrismo; nella sua vicenda, infatti, egli rivede l'esistenza di un'intera generazione che è stata incapace di lottare per la salvezza e per ottenere un posto nella storia, perché non fu presente agli appuntamenti decisivi come la resistenza. La prigionia in Nord Africa impedì a Sereni di lottare contro il fascismo a fianco dei partigiani: è per questo che avverte la sua giovinezza come una stagione sprecata, durante la quale ha disperso energie in scelte non autonome, ma dovute a cause di forza maggiore. Tale fortissimo senso di disagio, che in definitiva non lo abbandonerà mai, va acuendosi nel dopoguerra verso un ritorno alla vita civile; Sereni è terribilmente critico con se stesso e per questo si sente in diritto di esserlo anche nei confronti della società in cui vive, come un osservatore in una postazione soprelevata di privilegio: e cioè in quella postazione definita, appunto, “di frontiera”, di chi non si trova né di qua né di là dalla barricata. Per questo motivo egli guarda con poca indulgenza gli ambienti sociali che costituiscono l'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta; operai affamati di cultura e borghesi affamati di vacanze al mare vengono interpretati come tentativi di fuggire da ciò che è avvenuto pochi anni prima e da ciò che è rimasto delle distruzioni belliche, in un'idea diffusa di dimenticare errori ed orrori di un passato vicinissimo con conseguenze ancora tangibili su un presente quanto mai precario. L'immagine che emerge dal pensiero e dallo sguardo lucido di Sereni mostra un'Italia immatura, che chiude gli occhi sulla guerra, ne minimizza le conseguenze e rifiuta la ricerca di nuovi ideali per cui vivere e lottare; un'Italia qualunquista con usi e costumi improntati alla mediocrità e all'improvvisazione, dove ciò che conta e godere degli aspetti materiali della vita.

Sereni riesce ad esprimere il proprio pensiero con uno stile equilibrato fra descrizione realistica e trasfigurazione poetica.Gli artifici retorici che predilige sono soprattutto l'inversione sintattica, la metafora e la paratassi; l'utilizzo di frasi coordinate, che rendono i periodi abbastanza semplici, è in netto contrasto con lo stravolgimento della sequenza soggetto-verbo-complemento. Gli elementi estrapolati dalla realtà vengono rappresentati con immagini astratte di difficile interpretazione, ottenute eliminando tutti i particolari riconoscibili, come se il poeta volesse impedire al lettore di capire fino in fondo una sua meditazione troppo personale. Il modo di esprimersi rimane, nel complesso, di medio livello (nel senso della semplicità) e, come accadeva per Saba, vicino al parlato quotidiano. L'effetto d'insieme è una musicalità sui generis, lenta e continua, ma non fluida né melodiosa: una musica che si adatta al ritmo indeciso ed esitante di una generazione un po' pigra e indolente che oppone una resistenza passiva a i cambiamenti. La poesia che vi propongo è Non sa più nulla, è alto sulle ali, facente parte del Diario d'Algeria del 1947; è uno dei migliori esempi di astrazione progressiva dalla realtà, poiché l'assenza di particolari rende quasi irriconoscibile un evento tragico come la caduta del primo soldato americano durante lo sbarco in Normandia; il protagonista è un eroe “angelicato”, che non combatte ma vola via, come l'angelo cristallizzato nell'immagine del primo verso; in realtà le ali sono quelle dell'aereo che riporta la salma in patria, ma simboleggiano un'occasione mancata di dimostrare fino in fondo la propria forza e il proprio coraggio.

 

Riferimenti: Vittorio Sereni, Il Grande Amico, Fabbri Editori.

 

 

 

 

Non sa più nulla, è alto sulle ali

il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna.

Per questo qualcuno stanotte

mi toccava la spalla mormorando

di pregar per l'Europa

mentre la Nuova Armada

si presentava alla costa di Francia.

Ho risposto nel sonno: “È il vento,

il vento che fa musiche bizzarre.

Ma se tu fossi davvero

il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna

prega tu se lo puoi, io sono morto

alla guerra e alla pace.

Questa è la musica ora:

delle tende che sbattono sui pali.

Non è musica d'angeli, è la mia

sola musica e mi basta”.

 

 
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