VITTORIO SERENI
L'osservatore solitario
a cura di Fabrizio Manini
Vittorio Sereni viene universalmente
definito dalla critica come il poeta di una generazione di frontiera. Il suo
primo libro, intitolato appunto “Frontiera”, vede la pubblicazione due
anni dopo “Le occasioni” di Montale, del 1939. Il titolo, che già nella
sua identità si presta a molteplici interpretazioni, esprime da subito e in
maniera sintetica la posizione del poeta all'interno della poesia italica: con
un atteggiamento di distaccato interesse, Sereni si ritaglia una collocazione
appartata, ma comunque impegnata, isolata e tuttavia attenta a ciò che accadeva
intorno, con un modo di fare tipico di colui che ha ben
appreso l'insegnamento poetico dell'Ermetismo. La sua posizione
trasversale diverrà entro breve tempo il simbolo di una scelta letteraria
ancora più nuova, poiché rappresenta la volontà di creare qualcosa di diverso
rispetto al già innovativo Novecento italiano. Le caratteristiche di base del
suo esordio poetico saranno sempre presenti in tutta la sua produzione e in
ogni periodo della sua vita, in particolare quello del maggiore impegno sociale
e della più ampia creatività, dalla fine della seconda guerra fino al 1983,
anno della morte. Sereni viene oggigiorno annoverato fra i maggiori poeti
italiani moderni e contemporanei; se non fosse prematuramente scomparso avrebbe
certamente conteso a Mario Luzi (Firenze, 1914) la candidatura al premio Nobel.
Ad ogni modo rimane sempre il portavoce di un particolare momento della poesia
italiana in cui manca alle personalità letterarie il supporto di una
generazione solidale, capace di reagire con decisione allo sconforto della
guerra e agli eventi tragici della storia.
Fin dai suoi primi scritti Sereni non
appare un ermetico puro, piuttosto lo si può definire originale, forse un po'
eccentrico o stravagante, ma comunque lirico e pensoso: l'ispirazione la trova
nella realtà, anche se da essa si allontana per cercarne l'essenza e il
significato. Questo atteggiamento esistenzialistico torna prepotente anche
nelle due raccolte successive, “Diario d'Algeria” e “Gli strumenti
umani”: l'autore scrive di se, degli incontri, delle esperienze e dei
propri fallimenti, ma tutto questo non per egocentrismo; nella sua vicenda,
infatti, egli rivede l'esistenza di un'intera generazione che è stata incapace
di lottare per la salvezza e per ottenere un posto nella storia, perché non fu
presente agli appuntamenti decisivi come la resistenza. La prigionia in Nord
Africa impedì a Sereni di lottare contro il fascismo a fianco dei partigiani: è
per questo che avverte la sua giovinezza come una stagione sprecata, durante la
quale ha disperso energie in scelte non autonome, ma
dovute a cause di forza maggiore. Tale fortissimo senso di disagio, che in
definitiva non lo abbandonerà mai, va acuendosi nel dopoguerra verso un ritorno
alla vita civile; Sereni è terribilmente critico con se stesso e per questo si
sente in diritto di esserlo anche nei confronti della società in cui vive, come
un osservatore in una postazione soprelevata di privilegio: e cioè in quella
postazione definita, appunto, “di frontiera”, di chi non si trova né di qua né
di là dalla barricata. Per questo motivo egli guarda con poca indulgenza gli
ambienti sociali che costituiscono l'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta;
operai affamati di cultura e borghesi affamati di vacanze al mare vengono
interpretati come tentativi di fuggire da ciò che è avvenuto pochi anni prima e
da ciò che è rimasto delle distruzioni belliche, in un'idea diffusa di
dimenticare errori ed orrori di un passato vicinissimo con conseguenze ancora
tangibili su un presente quanto mai precario. L'immagine che emerge dal
pensiero e dallo sguardo lucido di Sereni mostra un'Italia immatura, che chiude
gli occhi sulla guerra, ne minimizza le conseguenze e rifiuta la ricerca di
nuovi ideali per cui vivere e lottare; un'Italia qualunquista con usi e costumi
improntati alla mediocrità e all'improvvisazione, dove ciò che conta e godere
degli aspetti materiali della vita.
Sereni riesce ad esprimere il proprio
pensiero con uno stile equilibrato fra descrizione realistica e trasfigurazione
poetica.Gli artifici retorici che predilige sono
soprattutto l'inversione sintattica, la metafora e la paratassi; l'utilizzo di
frasi coordinate, che rendono i periodi abbastanza semplici, è in netto
contrasto con lo stravolgimento della sequenza soggetto-verbo-complemento. Gli elementi estrapolati
dalla realtà vengono rappresentati con immagini astratte di difficile
interpretazione, ottenute eliminando tutti i particolari riconoscibili, come se
il poeta volesse impedire al lettore di capire fino in fondo una sua
meditazione troppo personale. Il modo di esprimersi rimane, nel complesso, di
medio livello (nel senso della semplicità) e, come accadeva per Saba, vicino al
parlato quotidiano. L'effetto d'insieme è una musicalità sui generis, lenta e
continua, ma non fluida né melodiosa: una musica che si adatta al ritmo
indeciso ed esitante di una generazione un po' pigra e indolente che oppone una
resistenza passiva a i cambiamenti. La poesia che vi
propongo è Non sa più nulla, è alto sulle ali, facente parte del Diario
d'Algeria del 1947; è uno dei migliori esempi di astrazione progressiva
dalla realtà, poiché l'assenza di particolari rende quasi irriconoscibile un
evento tragico come la caduta del primo soldato americano durante lo sbarco in
Normandia; il protagonista è un eroe “angelicato”, che non combatte ma vola
via, come l'angelo cristallizzato nell'immagine del primo verso; in realtà le
ali sono quelle dell'aereo che riporta la salma in patria, ma simboleggiano
un'occasione mancata di dimostrare fino in fondo la propria forza e il proprio
coraggio.
Riferimenti:
Vittorio Sereni, Il Grande Amico, Fabbri Editori.
Non sa
più nulla, è alto sulle ali
il primo
caduto bocconi sulla spiaggia normanna.
Per
questo qualcuno stanotte
mi toccava
la spalla mormorando
di pregar
per l'Europa
mentre la Nuova Armada
si
presentava alla costa di Francia.
Ho
risposto nel sonno: “È il vento,
il vento
che fa musiche bizzarre.
Ma se tu
fossi davvero
il primo
caduto bocconi sulla spiaggia normanna
prega tu se lo
puoi, io sono morto
alla guerra e
alla pace.
Questa è
la musica ora:
delle tende
che sbattono sui pali.
Non è
musica d'angeli, è la mia
sola musica e
mi basta”.