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  Letteratura  »  Elizabeth Bishop, di Alberto Carollo 06/06/2008
 

                                   Elizabeth Bishop

                            di Alberto Carollo

 

Il recente incontro* con la poesia di Elizabeth Bishop (1911-1979) ha suscitato in me un sentimento di ammirazione e soggezione che ha delle analogie con le emozioni provate a suo tempo di fronte all'opera di altri mostri sacri della poesia americana, grandi figure di poetesse del calibro di Emily Dickinson e e Anne Sexton, tanto per fare due nomi. Non a caso la Bishop è entrata di diritto nel novero dei massimi poeti americani del Novecento. Fu, in vita, amica di Marianne Moore, conosciuta al Vassar College nello stato di New York, della quale è ritenuta la degna erede.

 

L'itinerario artistico della Bishop è segnato, all'inizio, dal culto modernista della percezione; l'amicizia con la Moore la indirizza verso una poesia elaborata, che si svolge seguendo il filo del pensiero. A differenza dell'illustre collega, la Bishop è sempre ancorata allo svolgersi dell'evento poetico, al fissarlo nel verso collegandolo a un luogo e a un tempo determinati. Sorprende la fresca naturalezza delle sue composizioni se rapportata alla meticolosità certosina con la quale la poetessa seleziona le parole utilizzate nel suo dettato poetico.

 

Se c'è un carattere distintivo nella poesia di Elizabeth Bishop è senza dubbio la sua elusività. Eterna sfrattata dai paesi come dagli affetti, anima ondivaga e itinerante, schiva e appartata, con una complessa e problematica identità sessuale, la Bishop incarna una poesia dell'inadeguatezza; il suo mondo poetico origina da fatti casuali e contingenti, da eventi autobiografici, da taccuini di viaggio. Non a caso le sue raccolte hanno sempre titoli geografici: North and South (1946), A Cold Spring (1955), Question of Travel (1965).

 

Il lucido nitore del suo verso, di lunghezza variabile, con periodi sintattici brevi che spesso si chiudono semplicemente nella misura di un trimetro o di un esametro, è composto di parole domestiche, spoglie, con una vocazione per la luce e il colore, a delineare paesaggi iridescenti, visioni a volte surreali e scomposte o, viceversa, di un rigore affilato e geometrico, dove irrompe inatteso un istante di trance epifanico, distillato nella finestra di una pagina, come nella breve poesia che riporto, dove il motivo della luce lunare diviene una riflessione sull'insonnia, regno ctonio e rovesciato dove le ombre diventano corpi.

 

INSOMNIA

 

The  moon in the bureau mirror

looks out a million miles

(and perhaps with pride, at herself,

but she never, never smiles)

far and away beyond sleep, or

perhaps she's a daytime sleeper.

 

By the Universe deserted,

she'd tell it to go to hell,

and she'd find a body of water,

or a mirror, on which to dwell.

So wrap up care in a cobweb

and drop it down the well

 

into that world inverted

where left is always right,

where the shadows are really the body,

where we stay awake all night,

where the heavens are shallow as the sea

is now deep, and you love me.

 

INSONNIA

 

La luna nello specchio del comò

guarda milioni di miglia lontano

(e forse con orgoglio, a se stessa,

ma non sorride, non sorride mai)

via lontano lontano oltre il sonno,

o forse è una che dorme di giorno.

 

Se l'Universo volesse abbandonarla,

lei gli direbbe di andare all'inferno,

e troverebbe una distesa d'acqua

o uno specchio, sul quale indugiare.

Tu dunque metti gli affanni in un sacco

di ragnatele e gettalo nel pozzo

 

nel mondo alla rovescia dove

la sinistra è sempre la destra,

dove le ombre in realtà sono corpi,

dove restiamo tutta notte svegli,

dove il cielo ha tanto poco spessore

quanto è profondo il mare e tu mi ami d'amore.

 

Per saperne di più:

Elizabeth Bishop, Dai libri di geografia, a cura di Bianca Tarozzi, 1993, Salvatore Sciascia Editore.

Elizabeth Bishop, Miracolo a colazione, traduzione di Riccardo Duranti, Damiano Abeni e Ottavio Fatica, 2005, Biblioteca Adelphi.

* Infinita gratitudine a lui per avermela fatta conoscere.

 

 
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