Giovanni Verga e le novelle
di Renzo Montagnoli
Nell'ambito della produzione
letteraria del maestro del verismo le novelle occupano una posizione di primo
piano, sia per l'intrinseca bellezza sia per il numero veramente cospicuo delle
stesse.
La loro origine, tuttavia, ha
motivazioni meno artistiche e creative di quanto non si creda. Qualcuno ha
scritto che Verga provvide all'estensione della prima, la famosa Nedda, come reazione alla mancata pubblicazione da parte
dell'editore Treves di Tigre reale e Eros, una sorta di prova volta a
dimostrare a se stesso e agli altri che la capacità narrativa non era venuta
meno, anzi era accresciuta temprata da quel rifiuto che non poco gli bruciava.
Non è improbabile che questa opinione
risponda a verità, ma è ancor più plausibile che fossero state le difficoltà
economiche a spingerlo a scrivere qualche cosa di abbastanza breve e di
immediato realizzo economico.
Correva l'anno 1874 e dopo un lungo e infruttuoso soggiorno a Milano, dove
aveva sostenuto spese ingenti per ben apparire nell'alta società della città
lombarda, le casse erano drammaticamente vuote, una circostanza peraltro non
infrequente nella vita del grande narratore.
Avvenne così che, in periodo di
carnevale, scrisse in soli tre giorni Nedda, che fu
poi pubblicata nella Rivista italiana di Scienze,
lettere e Arti. L'ambientazione della novella è tipicamente siciliana e la
descrizione efficacissima della miseria e della sventura di una povera ragazza
avvinsero immediatamente i lettori. Ciò nonostante, Verga non era ancora
contento del risultato artistico, più interessato all'aspetto economico che
pure gli riservò non poche soddisfazioni, anche perché sull'onda del successo
incontrato l'anno successivo ottenne la pubblicazione, da altro editore, di Tigre reale e Eros.
Del resto, quella novella così
fortunata rischiò di restare l'unica, stante il fermo desiderio dell'autore di
proseguire nella stesura dei romanzi, soprattutto del Padron ‘Ntoni.
Dedicò così poco tempo ai racconti,
ma ciò non impedì di raccoglierne un numero sufficiente per poterli pubblicare
nel 1876 in
una raccolta intitolata Primavera ed
altri racconti, uscita per i tipi dell'editore Brigola.
Anche questo fu un successo che
convinse finalmente l'autore sulla potenzialità della narrativa breve a tal
punto che divenne gradualmente un suo modus operandi.
Le novelle sono tutte di
ambientazione siciliana, tranne alcune proposte con una localizzazione
tipicamente milanese, un omaggio a una città che amava molto.
Il verismo, pur attraverso diverse
sfaccettature e con trame assai varie, risalta quasi didatticamente in questi
lavori brevi, in cui la descrizione di miserie materiali e morali è il vero
ritratto di un'epoca e di un mondo, che sembra ora così
lontano, ma che non avremmo potuto conoscere se non avessimo avuto la
fertile penna di Giovanni Verga.
Il lettore si addentra in una miriade
di vicende, di personaggi, che mostrano una realtà quasi incredibile, ma che
sappiamo, per esperienza storica, purtroppo vera.
Sono storie di esseri deboli, di
predestinati dal fato a soccombere, sono personaggi che fanno tenerezza come la Principessa di
Primavera, oppure che suscitano un pietoso ribrezzo come in Rosso Malpelo, ma
che riescono anche, pur nella sofferenza e nel dolore, a rasentare atmosfere
bucoliche come in Jeli il pastore.
Altre volte sembra che Verga ci
voglia dire che tutto e scritto nella vita e nulla è lasciato al libero
arbitrio (L'amante di Gramigna e Cavalleria rusticana), ma c'è anche la
partecipazione intensa dell'autore, che pur nel rispetto di una realtà forse
anche peggiore, dimostra un atteggiamento pietoso, quasi l'intimo dolore nel
parlare di una creatura del suo genio, ma che è tipica di un mondo non di
fantasia, bensì di una terra e di una società dure e
inclementi (Malaria).
Diversa l'ambientazione nella
raccolta “Per le vie”, tipicamente meneghina, e forse la meno riuscita, vuoi
perché Verga aveva un senso di ammirazione per Milano, vuoi anche perché ci
sono miserie e miserie, e quelle della città del Duomo sono senz'altro meno
intense di quelle siciliane.
Questa visione di un
sottoproletariato riflette una situazione peraltro veritiera, perché
storicamente l'unificazione del territorio italiano da parte della stirpe
sabauda non solo non portò alla creazione di uno stato omogeneo, ma influì
negativamente sulla vita della quasi totalità della popolazione.
Rammento che con l'annessione del
meridione la monarchia diventò ancor più dispotica e affamatrice, tanto che vi
furono non poche ribellioni, soffocate nel sangue, con un numero di vittime
ancora imprecisato, ma che stime recenti fanno ammontare a non meno di 200.000
unità. L'introduzione delle tasse, soprattutto quella sul macinato, accentuò il
grado di povertà in misura tale che in certe zone la gente moriva di fame.
Al nord e al centro la situazione era
migliore, ma di poco, tanto che in quegli anni cominciarono i massicci flussi
migratori, con conseguenze socioeconomiche che da allora contribuirono a
spezzettare il tessuto nazionale e non certo a unirlo, come invece si sarebbe
dovuto fare.
Da un punto di vista di letterario le
novelle e tutta la produzione dell'autore sono di elevatissimo indiscutibile
valore, ma anche sotto l'aspetto storico si deve riconoscere il merito a Verga
di averci rappresentato in modo non soggettivo, ma
realistico un mondo spesso ignorato da altri scrittori, sebbene fosse
preponderante in quell'epoca.
L'attenzione per la povera gente
farebbe presupporre anche un tentativo di riscatto sociale della stessa, ma
questo non traspare dalle righe e peraltro non era certamente nelle intenzioni
dell'autore, più incline a considerare immutabile la stratificazione del genere
umano, pur non disconoscendo lo stato di estrema indigenza delle classi più
povere. Verga sembra quasi volerci dire che le classi sono una realtà
ineluttabile, che l'ordine delle cose non può essere mutato, pur riservando ai
meno fortunati un'attenzione caritatevole.
E' forse questo il limite maggiore
del Verga scrittore, ma anche del Verga uomo, un personaggio del suo tempo,
perfettamente calato nel suo ruolo di discendente del ramo cadetto di una
nobile famiglia, cresciuto in una ricchezza più ostentata che veritiera
(e le
preoccupazioni economiche saranno sempre il suo cruccio). Un uomo non povero,
attese le proprietà terriere, ma nemmeno ricco, poiché la sua nobiltà di
provincia gli imponeva, al fine di ben comparire, spese superiori alle
effettive disponibilità.
Di per sé scrivere la biografia di
questo autore implicherebbe un'altra analisi storica, cioè quella della
progressiva decadenza di una piccola nobiltà, superata dalla nuova borghesia.
Come si vede, non è vero che l'ordine
delle cose non possa cambiare, ma resta il fatto che Verga non aveva sbagliato
sull'immutabilità dello stato delle classi diseredate, immobili e misere nella
seconda metà del 1800 e sempre inferiori, senza possibilità di riscatto, ancor
oggi.