TIPI MONOLITICI: Nordest
hotel
di Alberto Carollo
Un buon libro non ha mai data di scadenza, e anche se Nordest hotel (Robin Bdv,
2004, pagg. 348, € 15,00) non è proprio fresco di stampa, vale comunque la pena
parlarne.
Io ne ho avuto notizia col passaparola – altro che TV, stampa e
internet: mai sottovalutare il potere taumaturgico del passaparola! E così ho
acquistato il romanzo, che per qualche tempo ha languito sul mio comodino
(destino riservato a molte altre pubblicazioni che riuscirò forse a leggere
integralmente nel corso delle mie prossime vite). Poi, superata la boa della
prima trentina di pagine, sono stato risucchiato - preda di una
insopprimibile curiosità e di un piacere divertito nella lettura - in
questo congegno narrativo che si fa apprezzare per la sua schietta semplicità,
per una scrittura diretta e affilata come un rasoio, per l'ingente dispiego di
un'ironia annegata nel fiele.
Marco Berengo è un operaio del
petrolchimico di Marghera, un loser nato, profugo da una ballata di Springsteen, uno di
quelli che credi di avergli estirpato ogni sogno con la tua riduzione del mondo
a un indice di produzione ma lui riesce sempre, inaspettatamente e con chissà
quali risorse, a far sbocciare una piantina rachitica di idealismo da una crepa
nell'asfalto. Marco amava Juliette, ma forse nessuno dei due era convinto che
il loro rapporto potesse funzionare. Sicuramente non Marco, privo di un minimo
di autoindulgenza nei confronti dei propri errori,
spietato e analitico nello smontare sistematicamente le proprie certezze e il
proprio sistema di pensiero. Non so fino
a che punto fossi consapevole di quello che stavo dicendo. Ero il solito
millantatore di me stesso. E certo Juliette non doveva essere da meno,
visto che ha lasciato Marco per un loro comune amico, Alberto, uno yuppie
perfettamente integrato nel sistema, un agente immobiliare rampante, uno che ha
successo nel lavoro e con le donne e che può loro fornire una maggiore
sicurezza. Che non vuol dire stabilità, però. Infatti
il matrimonio dei due non andrà proprio a gonfie vele. La goccia che fa
traboccare il vaso è la tragica, improvvisa morte del piccolo Luca, il figlio
della coppia. Poi Juliette svanirà nel nulla. Alberto tornerà dall'amico di un
tempo e gli chiederà di ritrovargli la moglie, in nome della vecchia amicizia
(?). Perché Alberto non può abbandonare i propri affari, è come un topo in
trappola – e qui il lettore comprende subito che c'è qualcosa che non va. Manco
a dirlo, il nostro novello Don Chisciotte si metterà
in marcia, solitario, alla ricerca della sua donna di un tempo. Dalle ceneri
mai spente riaffioreranno vecchie speranze ormai sopite… E qui la storia si
ammanta di giallo, sfumato tra le nebbie padane e il gelo di una città
norvegese.
A dispetto della storia sin qui delineata, Nordest hotel ha poco del romanzo di genere. I toni e i registri
utilizzati da Tessari sono quanto mai vari: si passa
da descrizioni minuziose, quasi da entomologo, della geografia inquietante del
Veneto, a cavallo di tre province, e della sua fauna eterogenea, a inserti di
più pagine fitte di dialoghi serrati che non sfigurerebbero in una pièce per il palcoscenico o per il radiodramma, a vere e
proprie incursioni nel racconto erotico (se non proprio hard), passando per il thriller e il comico, delineando comunque
con partecipazione anche quelle che sono, alla resa dei conti, delle storie
conflittuali d'amore e d'amicizia. Numerose le strizzatine d'occhio al lettore
da parte del personaggio principale, di cui Tessari
adotta – per lo più – il punto di vista. Parliamo
un po' di me, vi va? Tanto è lo stesso, lo faccio comunque, vi piaccia o meno. Laurence Sterne, fosse ancora tra noi, sarebbe
contento di Davide Tessari perché il nostro è un vero
e proprio specialista delle digressioni. Così capita che l'azione venga
interrotta per seguire delle vicende collaterali che sono dei veri e propri
spunti esilaranti, e del tutto godibili , di scrittura
e invenzione, come nell'episodio in cui Marco, in cerca di indizi che lo
conducano a Juliette, fa visita al cugino Paolo: è l'ouverture di una lunga scena farcita di aneddoti al peperoncino jalapeno e varie
facezie di natura sessuale. La tendenza a ricamare qualche filo di troppo, a
eccedere nel florilegio narrativo, a gigioneggiare col lettore, esprime la
sincera bontà e talento di un narratore smaliziato nell'arte di panificare il
racconto, e l'insieme di certi quadri, sviluppati fino al limite estremo del
paradossale o del luogo comune elevato a mitologia del quotidiano, conducono a
un climax che in certi momenti fa pensare a un gran fumettone (nell'accezione
più nobile e autoriale del termine), il tutto servito
con una colonna sonora di prim'ordine – tanti i riferimenti alla musica degli
anni ottanta –, rigorosamente rock.
La tenuta di Nordest hotel
si misura comunque sui personaggi modellati a tutto tondo, che si staccano
dalla pagina per camminarci accanto. Così una ragazza come Juliette, non
propriamente bella ma di un certo fascino, è una che ti sta antipatica in
maniera epidermica – avrà pure i suoi lati virtuosi ma questo suo essere
ondivaga… e poi, cristo, avevi la felicità a portata di mano, perché non
capirlo, perché abbandonare quello sfigato che ti idolatrava? Alberto è un
personaggio un po' a senso unico: il cliché dell'arrampicatore sociale, la cui
evoluzione passa attraverso varie gradazioni di grigio, fino al nero. Ma il
personaggio più sconcertante è Marco, l'uomo della porta accanto, il nostro
eroe di quartiere. Marco è un personaggio atipico, monolitico quanto un eroe epico
nel non subire alterazioni al di là delle diverse caratteristiche che presenta
(a volte anche antitetiche): è un duro e un puro, si piega ma non si spezza; è
disposto a calpestare la propria dignità pur di onorare l'ombra di un'antica e
importante amicizia; insegue la vecchia idea di un amore che si è già
trasformato, che non sarà più lo stesso; è un perdente, un cinico disfattista,
disilluso e disincantato; eppure scrive, è a suo modo un intellettuale, con uno
sguardo aguzzo, consapevole, capace di dipingere in maniera mirabile le
contraddizioni del paesaggio nel quale si muove; è protestatario, è incazzato,
ma è pure depresso e sfiduciato; ha sempre le parole di una
canzone giuste per ogni occasione, eppure è un paria, un disadattato, il
residuato di un'adolescenza di belle speranze, risvegliatosi improvvisamente in
un mondo di adulti in cui le relazioni umane vengono considerate alla stessa
stregua di merce di scambio. E in ciascuna di queste condizioni finisce per
ricadere in piedi, per agire in modo adeguato alla necessità, anche quando
tutti i legami più importanti si sfaldano e svelano il loro vero volto di
menzogne e iniquità. E rimarrà tale anche alla fine del romanzo, uguale a se
stesso, con l'embrione di un'idea, il desiderio di ricominciare daccapo, con
una nuova vita. Non solo per sopravvivere, ma quasi quasi
per vincere. E noi lettori, questo, lo notiamo appena, tanto Tessari riesce a maneggiare con abilità il suo monolitico.
Scusate se è poco.
Davide Tessari è nato a Marghera (VE), nel 1969. Vive a Mira. Ha vinto con i
suoi racconti vari premi letterari, tra i quali il premio Alice e il premio
Storie Rock. Ha scritto, oltre a Nordest
hotel (Robin Bdv, 2004), Il margine sugli ossibuchi (Robin Bdv,
2005).