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  Letteratura  »  L'introduzione di Carlo Bordoni a Il sosia, il doppio, il replicante, di Giuseppe Panella, edito da Elara 26/07/2009
 

Introduzione a

 Il sosia, il doppio, il replicante.

Storia e metamorfosi di una figura letteraria,

 di Giuseppe Panella

Edizioni Elara, Bologna, 2009

 

 

 

Il tema del doppio è uno dei più affascinanti in letteratura e bene ha fatto Giuseppe Panella, studioso molto attento ai fenomeni culturali, a riprenderlo dalle sue radici. Di solito, infatti, le analisi sulla figura dell'altro prendono il via dall'Ottocento, dal secolo, cioè, in cui è maggior­mente avvertito il disagio esistenziale e si prepara la scoperta dell'inconscio.

Più coerentemente Panella risale a Platone, il cui Simposio svela l'origine della doppiezza: la separazione per ordine di Giove dell'essere primigenio, l'androgino che conteneva, nella sua totalità, i principi del maschile e del femminile. Da questa separazione avrebbe origine l'insoddisfa­zione degli esseri umani, condannati a ricercarsi per ricomporre l'unità perduta. Vero è che la spiegazione mitologica di Platone si limita alla divisione dei sessi e non spiega, se non in parte, l'angoscia di fronte all'altro-da-sé, il vedersi rispecchiato in un altro essere separato dal proprio corpo.

Lo fa, invece, Plauto nell'Anfitrione, cogliendone gli aspetti comici e paradossali nella commedia degli equivoci impostata sulla figura del servo Sosia (appellativo destinato a maggior fortuna), e da qui all'omonima pièce teatrale di Molière e a quella di von Kleist, è un susseguirsi nel tempo di un tema sentito profondamente nella modernità, dove ha assunto connotazioni psicotiche.

L'effetto di fronte alla copia del proprio corpo è sconvolgente poiché mette in dubbio l'idea di sé, la coscienza come in­dividuo di­stinto dalla madre, che si è formata nei primi mesi di vita. Du­bitare della propria identità, osservarla in un altro es­sere, visto dall'esterno, può provocare una scissione, uno sdop­piamento della personalità. Il sosia è visto come colui che ruba la vita, si interpone tra sé e le persone amate, ne prende il posto nella comunità. La fantasia piacevole di “vedersi” vivere dall'esterno, come un estra­neo, po­ter essere un altro come il personaggio di un film, può trasfor­marsi in spaesamento, aggra­vare il maggior timore dell'uomo, secondo solo a quello della morte. Ma, come osserva Otto Rank, lo studioso freudiano che ha sviluppato questo tema in un saggio illuminante (a cui Panella dedica un intero capitolo), al motivo del dop­pio, che nel materiale folkloristico si presenta soprattutto nel signifi­cato di anima e di morte, non è estraneo il narcisismo.

Perché l'ambiguità destabilizzante del doppio è scatenata dall'angoscia esistenziale dell'individuo cosciente: è il naturale retaggio di un passato ancestrale non rischiarato dalla luce della coscienza. La coscienza di sé presuppone l'identità individuale, che il doppio minaccia, mette in discussione, respinge verso l'indistinto e il mancato riconoscimento sociale. Il doppio è dunque un elemento destabilizzante per la cultura del logos, capace di rompere il fragile equilibrio e provocare uno stato di alienazione dalla realtà che può sfociare nella schizofrenia.

Non è un caso se buona parte dei grandi “doppi” della letteratura occidentale si risolvono nella pazzia, dal Medardo dell'Elisir del diavolo di Hoffmann al mister Hyde di Stevenson, tanto per sottolineare le due estremità temporali del xix secolo (primo Romanticismo e Vittorianesimo), in cui l'ambiguità della doppiezza è tra i temi più sentiti.

Lo sguardo di Panella è coinvolgente ed esaustivo: va a recuperare ogni indizio in cui il senso della doppiezza sia utilizzato, dimostrazione solo in apparenza di una trovata per stupire il lettore o divertirlo (come in Plauto), ma in fondo conferma di un disagio che si vuol esprimere (come in Hoffmann), per potersene liberare.

A cominciare dallo splendido esempio di Borges, nel racconto Le rovine circolari, dove il meccanismo aristotelico del regressus ad infinitum utilizza il sogno dell'altro per confondere l'autonomia del sé. L'eterno ritorno della realtà come effetto della sua inesistenza. Il ricorso al sogno è ripreso in uno degli ultimi racconti di Borges, L'altro, variante tarda dell'incontro con se stesso (a trent'anni di distanza) che coglie il tema della senilità.

Doppio e sdoppiamento hanno un legame così forte con le questioni inerenti l'equilibrio mentale da essere stati indicati da Freud (lettore della novella L'uomo di sabbia di Hoffmann) tra i principali responsabili del “perturbante”, termine con il quale è stato reso in italiano l'unheimlich, fonte di angoscia e spaesamento, di fronte all'incertezza di sé e all'estraneità dell'ambiente. E il perturbante, si sa, è causa prima della paura, il sentimento più forte che accompagna l'uomo fin dalla sua nascita.

Si può quindi ritenere che dietro la manifestazione del “doppio” si nascondano le più temibili paure dell'uomo e che la necessità vitale di esorcizzarle (cominciando proprio dal lato comico di Plauto) sia alla base stessa di diversi motivi letterari. Il Golem, creatura medievale celebrata nel romanzo di Meyrink, cavalca la paura e la utilizza in difesa del popolo ebraico; lo stesso meccanismo psicologico che sottende alla creazione del mostro di Frankenstein della Shelley, dove non è più utilizzata la magia per dare la vita all'altro-da-sé, ma l'elettricità. Frankenstein, proprio in virtù della data di composizione (il 1818) è un po' lo spartiacque tra un doppio casuale, di natura magica o divina (come nell'Anfitrione) e un doppio artificiale, costruito dall'uomo, ma non per questo meno terrificante e minaccioso.

Da allora il doppio, alimentato dalla tecnologia, si è variamente incarnato in una miriade di esseri fantastici, robot, automi, replicanti e androidi sempre più perfezionati e simili all'uomo, da cui finiscono per non essere più distinguibili, come nell'ormai classico Blade Runner, da un racconto di Philip K. Dick. Nell'articolata e complessa parabola evolutiva del doppio (da maschera a creatura cibernetica) si è tornati alla più inquietante presa d'atto che l'altro-da-sé è perfettamente identico al suo originale e se ne distingue per un semplice tratto di “consapevolezza”. Un tratto così sottile ed effimero da mettere in dubbio ogni certezza e riproporre, nella sua angosciante percezione interiore, la questione originaria a cui è riconducibile l'essenza stessa del problema del “doppio”: la perdita dell'identità individuale.

 In un vecchio film di John Carpenter, Starman, tratto dal romanzo di A. D. Foster, l'alieno di turno “clona” un essere umano e vive come l'altro, senza alcuna differenza sensibile. Come dire che l'alterità è un fatto interiore. Il che richiama altre situazioni consimili, sulle quali il cinema si è spesso diffuso, a cominciare da L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel, che ha goduto di numerosi remakes, dove appunto dei “cloni” vegetali prendono il posto dei loro omologhi umani per impadronirsi del mondo. Dal “doppio” si scivola, però, verso il tema dell'invasione, altra grande paura che attanaglia l'immaginario sociale. Ma questa è un'altra storia

 

Carlo Bordoni

 

 
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