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  Letteratura  »  Lo stato dell'unione, di Tullio Avoledo, edito da Sironi e recensito da Giuseppe Iannozzi 03/12/2009
 

Lo stato dell'unione

di Tullio Avoledo

Sironi Editore

Narrativa romanzo

Pagg. 443

ISBN 9788851800680

Prezzo € 11,90

 

 

 

 

 

Con Tullio Avoledo dalla Nebbia in Regione fino a toccare la Luna. Lo stato dell'unione

 

 

 

Impossibile non riconoscere a Tullio Avoledo una fantasia ai confini della realtà, una realistica fantasia che ottimamente si sposa con gli accadimenti del nostro tempo storico. Tullio Avoledo con “L'elenco telefonico di Atlantide” si è subito imposto all'attenzione di molti critici e lettori, ottenendo, meritamente, un forte consenso. E' stata poi la volta de “Il mare di Bering”: e nuovamente, Avoledo ha fatto centro, confermando appieno il meritato consenso che ottenne con il suo primo romanzo.
Oggi, Tullio Avoledo torna con un nuovo lavoro, “Lo stato dell'unione”. Impossibile dare un'etichetta alla scrittura superlativa di Avoledo: i suoi romanzi sfuggono, non sono ‘etichettabili' perché sempre profondamente originali. E' fiction? narrativa, letteratura o super-fiction?

Avoledo scrive a trecentosessanta gradi: nelle trame dei suoi romanzi confluisce tutto un “universo culturale”. L'autore spazia dalla citazione poetica presa a prestito da Emily Dickinson per arrivare fino a Michel Houellebecq, disegnando perfettamente la “mappa” e la “cognizione del dolore”. Ma Tullio Avoledo mette anche in evidenza tutto il marcio che fu di “Tricky Dick” Nixon attraverso un costrutto narrativo vertiginoso un po' à la P.K. Dick, un po' à la Chuck Palahniuk, con una sana dose di ironia lisergica à la Jonathan Lethem.
C
i troviamo in un'Italia costruita su “universi che cadono a pezzi” e la vita di Alberto Mendini, protagonista principale de “Lo stato dell'Unione”, è letteralmente a pezzi, e non solo metaforicamente. Alberto Mendini è già sulla cinquantina, un pubblicitario che ha non pochi casini alle spalle e la cui carriera sembra essere destinata a sfracellarsi nel nulla così come la sua vita coniugale. Invecchiato e ingrassato, ormai avviato ad un'inesorabile calvizie, a stento riesce a trascinarsi avanti nel fiume dell'esistenza: la moglie, ancora giovane, giorno dopo giorno, gli rammenta che è ormai un uomo prossimo al collasso. Non meno problematico è il rapporto con i figli: Alberto non riesce ad instaurare con loro un dialogo sincero, nonostante s'impegni parecchio per riuscire a tenersi stretto l'amore dei due bambini.

Ma un giorno, quando sembra davvero che il suo destino sia già stato tutto scritto, alla sua porta bussa l'Assessore alla Cultura della Regione: riceve una proposta, un lavoro, metter su una campagna pubblicitaria in favore

dell'Anno dell'Identità Celtica”.  
Mendini non sa – e non può – rifiutare: seppur non poco perplesso, alla fine si costringe a stringere la mano all'Assessore e ad accettare l'incarico. Entrare è stato facile, fin troppo, e una volta dentro, Alberto Mendini scopre che l'“Anno dell'Identità Celtica” è una truffa. In realtà, nel progetto s'annida il serpente del razzismo, un'organizzazione separatista il cui scopo precipuo è quello di ottenere la creazione d'un nuovo Stato, uno Stato “indipendente”, profondamente razzista, fondato sulla “presunzione d'un'inventata identità celtica”. Nonostante Alberto si opponga al progetto – in maniera piuttosto blanda -, subito ha inizio una serie di morti sospette: ad essere toccati sono quanti stanno lavorando intorno all'Identità Celtica. A poco a poco, Mendini viene a sapere che l'Assessore intrattiene stretti rapporti con il Governatore del Mittelmark, una sorta di redivivo Adolf Hitler. Fa la conoscenza di questo Hitler, anche se sarebbe più giusto dire che Mendini si “scontra”, vis à vis, con questo Hitler. A complicare ulteriormente la già intricata faccenda: Alberto Mendini è vittima d'una sbandata per una delle collaboratrici che insieme a lui lavora al progetto. La fresca ingenuità della collaboratrice lo colpisce dritto al cuore. Ma sarà vera l'ingenuità che questa collaboratrice mostra di sé? O piuttosto Mendini è caduto dentro la trappola d'una femme fatale? Mendini ha tanti dubbi e non gli riesce proprio di venirne a capo: indarno cerca di tirarsi fuori dal progetto di cui dovrebbe coordinare le strategie pubblicitarie affinché l'“Anno dell'Identità Celtica” vada in porto. Mendini può contare solamente su Neil, un vecchio amico americano che negli anni Settanta s'è trasferito in Italia. Mendini l'aveva conosciuto, quasi per caso, qualche anno addietro, in una notte che s'era perso girando in macchina, imboccando una strada sbagliata mentre cercava di recarsi con la moglie ad una festa: chiedendogli alcune informazioni, Neil e Mendini fanno amicizia, l'unica amicizia che Mendini manterrà viva fino alla fine. Ma anche Neil ha un segreto: grazie ad un marchingegno riesce a parlare coi morti e a sapere così il futuro. Ma Neil è anche un ex astronauta che sa dello sbarco sulla Luna, quello del 21 luglio 1969. E' tutta una Nebbia profonda, impossibile da allontanare, per Alberto Mendini: non può contare su nessuno tranne che su sé stesso e sul quel poco che può – che vuole – scucire a Neil, perché Alberto si rifiuta recisamente di venire a conoscenza del suo destino in anticipo, tramite la bocca dei morti, tramite l'intercessione di Neil. Ma neLo stato dell'unione” c'è molto altro ancora, e io non ve lo posso proprio dire. Dovrete scoprirlo da soli quale sarà il futuro di Alberto Mendini, della sua famiglia, e sempre da soli dovrete scoprire quale futuro è stato diagnosticato per l'Italia.
Con “Lo stato dell'unione”, Tullio Avoledo consegna nelle nostre mani un romanzo completo e perfetto: l'autore ci racconta tutte quelle cose che non si potrebbero dire intorno al 2005, sempre con profonda maturità artistica, sociale e politica. Non siamo di fronte a della semplice e banale fantapolitica, siamo invece “dentro” un futuro che è già il nostro presente, quello che mirabilmente Tullio Avoledo ha fotografato con icastica realistica fantasia negli universi che cadono a pezzi”, nella “mappa” e nella “cognizione del dolore”.

 

 

Giuseppe Iannozzi

 

www.liberolibro.it

 

 
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