UN'ALTRA JULIA
di Cinzia Pierangelini
Edizioni Historica
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Narrativa romanzo
Collana Celeris
Pagg. 116
ISBN: 978-88-903572-6-8
Prezzo: € 7,90
“Un'altra Julia”: questo libro di Cinzia Pierangelini,
scritto con il rigore linguistico che abbiamo imparato a conoscere e ad amare
grazie a lavori quali “Il muro di
Eraclito” e “‘A Jatta”, è romanzo breve, saga di due famiglie,
ma è soprattutto il ritratto di Julia Pastrana,
dapprima creatura angelicata poi freak, donna volpe per uno strano scherzo del
destino.
I freaks, questi scherzi della natura, sono stati per
lungo tempo al centro dell'attenzione d'una esagerata
narrativa popolare, che li ha dipinti ora con vesti nemiche ora eroiche.
Freaks, o
mutanti che dir si voglia, negli ultimi anni sono tornati alla ribalta grazie a
fumetti e film: dall'Universo Marvel, Wolverine – parto di tre menti (Len Wein, Herb
Trimpe e John Romita Sr.) – ama ripetere “Sono il migliore in quello che faccio. Ma quello che faccio non è
piacevole”; e il pubblico ha subito imparato
che i mutanti sono il futuro dell'umanità. O
perlomeno l'illusione fallace che è stata distribuita alle masse lobotomizzate
è che un handicap fisico e/o mentale possa in qualche modo servire
all'evoluzione del genere umano, per renderlo migliore, più forte. La realtà è
più amara, e Cinzia Pierangelini ce lo ricorda attraverso la
storia di Julia.
«Viviamo in un
periodo in cui il nome freak (fenomeno) viene rifiutato da tutti quegli umani
fisiologicamente devianti ai quali è stato applicato per tradizione: giganti,
nani, fratelli siamesi, ermafroditi, donne cannone e scheletri viventi. Lo
considerano un marchio infamante, un ricordo della loro lunga emarginazione e
del loro sfruttamento da parte di altri umani, che dando loro questo nome hanno
anche definito se stessi come “normali”. Come tutte le richieste, da parte
degli stigmatizzati, di cambiare nome, questa evoluzione si esprime in una
sorta di discorso politico. […] non c'è accordo, tra
le persone tradizionalmente chiamate freaks, su come
ora vorrebbero, per ragioni programmatiche, farsi chiamare; c'è soltanto il
fermo proposito che sia qualche altra cosa. […] Al
pari di tutti gli uomini, i cristiani hanno incontrato per la prima volta i freaks non come creature venute da qualche altro luogo, ma
come bambini mostruosi nati nelle loro stesse famiglie. Solo che, a differenza
dei pagani, non potevano considerare queste nascite anomale come incarnazioni
degli dèi egualmente mostruosi. E quindi non potevano mummificarli e venerarli
come facevano gli antichi egizi, né ucciderli ritualmente alla stregua dei
greci e dei romani, perché per loro il divino s'identificava con la perfezione,
anziché con la mostruosità, e l'infanticidio era proibito dalla Legge di Dio. […]»: Leslie Fiedler,
nel suo saggio “Freaks: Myths and images of the secret self
“(1978), porta avanti un discorso di politica, di fenomenologia e teologia, di
teratologia e sociologia. In definitiva, il fenomeno (freak) serve alla
comunità per essere allontanato e disprezzato, ma serve anche alla cultura
popolare per creare dal nulla eroi e dèi che altrimenti non avrebbero
possibilità alcuna d'insediarsi nell'immaginario popolare e quindi di esistere.
Cinzia Pierangelini
ci racconta di Leda, una bambina nata bella, anzi di più, bellissima. Per il
nonno Nitto la nipote è una creatura sacrificabile: a
tredici anni viene promessa in sposa a Tindaro,
figlio maschio della famiglia di Tino, famiglia di possidenti terrieri e non
solo. Tindaro e Leda dovranno sposarsi, così hanno
decretato i vecchi, perché la terra si fa unendo più fazzoletti fra di loro.
Da bambini Leda e Tindaro hanno giocato insieme ed
hanno condiviso gli stessi piccoli dolori e le stesse innocue gioie. Leda
diventa giorno dopo giorno più splendida, un angelo. Tuttavia un brutto dì
scopre che il suo volto sta cambiando. Nel giro di poco la bella Leda si
ritrova il volto angelicato coperto da una folta barba bionda. Tindaro non ne vuole che sapere di maritarsi con la “donna barbuta”, ma per Tino e Nitto, le nozze dei due giovani rappresentano un delirio di
potenza e ricchezza cui non possono proprio rinunciare. Impossibile recidere la
volontà di Nitto e Tino: i due condurranno per mano
il frutto dei loro lombi dritto nella tomba dell'amore.
“Un'altra Julia” non
è la semplice storia di una emarginazione,
dell'ignoranza umana prima che di quella del popolo; è piuttosto il disegno di
una società che partorisce incubi e mostri quasi a tradire l'idea che solamente
il sonno sia in grado di fare tanto nella mente dell'uomo. Se è vero che “la fantasía abandonada de
la razón produce monstruos imposibles: unida con ella es madre de las artes y origen de las maravillas”, come
il pittore spagnolo Francisco Goya osserva con occhio di trapano, allora è
altrettanto vero che i mostri sono da sempre una parte importante e concreta
della società, che nel tentativo di disfarsene per sempre li ha etichettati
cercando infine di relegarli in un universo immaginifico. Cinzia Pierangelini con “Un'altra
Julia” traduce il lettore non in un universo popolato da sole
fantasie, bensì in un microcosmo reale, tangibile e crudele: ma è pur sempre
meglio la concretezza della crudeltà all'eterno confino nell'inferno della fantasia.
Giuseppe
Iannozzi