Luigi
Pirandello, L'uomo dal fiore in bocca
di Katia Ciarrocchi
L'uomo dal fiore in
bocca è un atto
unico di Luigi Pirandello,
perfetto esempio di un dramma borghese nel quale convergono i temi
dell'incomunicabilità e della relatività della realtà. Fu rappresentato per la
prima volta il 24 febbraio del 1922 al Teatro Manzoni di Milano. È un colloquio
fra un uomo che si sa condannato a morire fra breve, e per questo medita sulla
vita con urgenza appassionata, e uno come tanti, che vive un'esistenza
convenzionale, senza porsi il problema della morte.
Un atto unico in cui l'Uomo e l'Interlocutore si confrontano sul senso della
vita: l'Uomo che sta per morire (il fiore
e' la metafora dell'epitelioma, il cancro che lo condanna) e per il
quale la vita ha il senso di un microcosmo da osservare con l'intensità e il
rigore scientifico di un entomologo, e l'interlocutore invece che rappresenta
la normalità di chi ha tutto il tempo davanti a sé, e si lascia coinvolgere in
una piccola serie di eventi quotidiani.
L'atmosfera, inizialmente realistica, acquista presto una valenza metafisica
nell'analisi ossessiva che il protagonista propone attraverso una gestualità
spiata da un mondo che ormai lo trova come mero spettatore.
L'Interlocutore, normale, intrappolato nella propria quotidianità, si eleva
poco a poco come a simbolo della morte stessa, presenza concreta e indifferente
ai sentimenti di chi questa morte aspetta.
Il dialogo presto si tramuta in monologo che la morte, sarcasticamente
attonita, ascolta e alla fine risolve, con glaciale neutralità.
Siamo nel 1931 all'inizio del ventennio fascista, metafora della morte della
libertà e del patto sociale che supporta la democrazia. Sarà
infatti la voce di Mussolini ad aprire lo spettacolo, voce che si
scioglie in un suono suadente di mandolino.
Il protagonista è un uomo
ammalato di epitelioma, condannato a morire; questa sua situazione lo spinge a
indagare nel mistero della vita e a tentare di penetrarne l'essenza. Per chi,
come lui, sa che la morte è vicina, tutti i particolari e le cose, insignificanti agli occhi altrui, assumono un valore e una
collocazione diversa. L'altro personaggio è un avventore del caffè della
stazione, dove si svolge tutta la scena; un uomo qualsiasi, che la monotonia e
la banalità della vita quotidiana hanno reso scialbo, piatto e vuoto a tal
punto che il dialogo tra lui e il protagonista finisce col diventare un
monologo, quando quest'ultimo gli rivela il suo terribile segreto.
« Venga… le faccio vedere una cosa…
Guardi, qua, sotto questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si
chiama questo? Ah, un nome dolcissimo… più dolce d'una caramella: – Epitelioma,
si chiama. Pronunzii, sentirà che dolcezza:
epitelioma… La morte, capisce? è passata. M'ha ficcato
questo fiore in bocca, e m'ha detto: – «Tientelo,
caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!»
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