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  Letteratura  »  Giuseppe Iannozzi ha recensito Disertori, di Michele Pellegrini, edito da Barbera 27/01/2010
 

Disertori

di Michele Pellegrini

Barbera Editore

Narrativa romanzo

Collana Radio Londra

Pagg. 134

ISBN 9788878991576

Prezzo € 15,50

 

 

 

 

 

Tra partigiani, camicie nere e foibe.


Michele Pellegrini è nato nel 1960 a Trieste. Ha pubblicato Memorie di un bambino filocinese (Stampa Alternativa, 2002), Grand Tour (Fernandel, 2003), Dimissioni (Fernandel, 2004). Fa il bibliotecario.
Quella che si racconta in “Disertori” di Michele Pellegrini è una storia dallo stile secco: niente virtuosismi per rendere icastici i personaggi e le situazioni, bensì rapide pennellate per dire quello che c'è da dire, senza inutili fronzoli. E' una storia amara da digerire, ammesso che ci sia qualcuno disposto a digerire, senza batter ciglio, il dramma di quanti nella Seconda Guerra Mondiale furono infoibati, giustiziati sommariamente, ammazzati perché c'era la guerra e non si poteva fare altrimenti. In “Disertori” c'è la storia di un uomo il cui passato non è proprio pulito e di cui una sola persona sa i particolari. C'è un grande punto interrogativo che macchia di sangue innocente ogni pagina: davvero non fu possibile fare diversamente? era necessaria tutta quella crudeltà contro tutti, contro vecchi giovani donne, semplici ragazze e ragazzi?
Tutto comincia, o meglio finisce in una camera d'ospedale dove sta Alvise Preda, oramai preso dal cancro e dalla morfina: però la sua mente è lucida, quasi serena. Al suo capezzale i due figli, Federico e Dorina, nonché l'arrivo inopinato d'un anziano signore più vecchio del padre e che è stato amico di Alvise. Lui è l'Argentino, l'ultima persona al mondo ancora in vita che può dire qualche cosa di Alvise Preda. I figli di Alvise sanno solamente d'aver avuto un padre, d'averlo amato, ma non sanno chi è stato. E' con l'arrivo de “l'Argentino” che inizia la storia, traducendo Federico e Dorina in un tempo d'inverni e di lupi neri, in cui loro non erano ancora stati concepiti nemmeno come idea. Federico e Dorina non possono che rimanere ad ascoltare la voce dell'Argentino, mentre Alvise, ridotto a una larva umana, li prega d'ascoltare anche se lui dormirà. Obbediscono.
Volenti o nolenti i due fratelli vengono tradotti in Albania, in Montenegro, in Dalmazia. L'Argentino gli racconta di come si sono incontrati, dei boschi che hanno percorso insieme, e a suo modo tenta pure di spiegare loro che cosa significava essere dalla parte giusta. E mentre l'Argentino racconta, noi si ha come l'impressione che una parte giusta non esista, non in guerra, perché la guerra è sempre sporca di sangue innocente che è sempre di più di quello delle camicie nere. E poi bisognerebbe capire chi è una camicia nera perché gliel'hanno comandato e non si poteva proprio rifiutare, e chi invece ci crede veramente nell'abominio dell'arianesimo. All'indomani dell'8 settembre i due Alvise e l'Argentino decidono insieme a una dozzina di fascisti di tentare il rientro in Italia – in Patria. Si sono messi contro tutti: contro i comunisti e gli slavi, contro gli italiani così e così forse traditori e forse no, contro i tedeschi invasori. Hanno davanti a sé un territorio ostile, qualcosa come quattrocento chilometri da fare a piedi. Una marcia serrata per mettere piede in Istria attraverso le montagne e i boschi. La compagnia, durante la marcia, si dimezza: è la guerra che uccide gli uomini, sono gli uomini che uccidono gli uomini. Sarà una partigiana croata a chiedere loro – dalla tomba -, per colpa della barbara uccisione a cui andrà presto incontro, da che parte state adesso? Alvise e l'Argentino catturano una partigiana, la convincono a fargli da guida, ma poi qualcuno ci prova a metterle le mani addosso: Alvise non lascia che la giovane croata venga oltraggiata, però non riesce ad evitarne la barbara uccisione. A questo punto Alvise, con fredda rabbia, spara e ammazza tutti, eccetto l'Argentino. Il resto del cammino da fare d'ora in poi sarà solamente per loro due, l'inizio di un altro inferno. I figli di Alvise ascoltano in silenzio: non fanno domande, cercano di capire chi è stato quell'uomo che li ha generati. E anche per loro è un viaggio all'inferno: solo adesso che il genitore sta morendo cominciano a sapere di lui, veramente, chi è stato e che cosa ha fatto.
Quello di Michele Pellegrini è un romanzo duro: molte le pause, tra una pennellata di parole e l'altra, pause per riflettere, per cercare un perché o almeno per tentare. “Disertori” è una ferita che non si è rimarginata: è aperta e suppurante, ogni giorno qualcuno rivanga la Storia, la mette a sconquasso, tenta un vergognoso revisionismo di comodo assolvendo e condannando i morti di ieri, e non c'è alba che almeno uno su questa terra non ricordi un partigiano caduto o un infoibato. Un romanzo che non fornisce soluzioni: non c'è questa arroganza da parte dell'autore, perché, parafrasando Bob Dylan, la risposta la sa, o la porta, il vento, e spesse volte anch'esso è solamente vuoto vento senza parole né echi da destinare a chicchessia.

 

 

Giuseppe Iannozzi

 

www.liberolibro.it

 

 

 

 
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